Il Cern di Ginevra rafforza il suo ruolo nella IBM Quantum Computing Network, la rete di partner commerciali, governativi e istituti di ricerca che stanno lavorando con IBM all’utilizzo e allo sviluppo del quantum computing, diventando un Hub.

Un Hub della IBM Quantum Computing Network è un centro per la formazione, la ricerca e lo sviluppo che può anche fornire ai propri collaboratori l’accesso a questa tecnologia, appoggiandosi su una flotta di una ventina di sistemi IBM Q utilizzati in condivisione. In tutto, sono stati installati nel mondo 34 quantum computer IBM, con la rimanenza a utilizzo esclusivo di alcuni clienti e partner.

Gli Hub della rete di IBM sono anch’essi una ventina e includono alcune delle più prestigiose università e centri di ricerca (Oxford, Cambridge, l’Istituto Fraunhofer e i laboratori nazionali americani di Los Alamos e Oak Ridge, solo per citarne alcuni). Oltre all’accesso ai computer quantistici, il Cern potrà contare sulla collaborazione con gli esperti e ricercatori IBM.

Per Alberto Di Meglio, direttore del Cern Open Lab (il laboratorio di ricerca in cui si esplorano le tecnologie da utilizzare per supportare gli esperimenti del Cern) e coordinatore delle Quantum Initiatives del Centro, questo passaggio risponde alla vocazione profonda del Cern, che è quella di contribuire alla condivisione della conoscenza tra i propri membri e nella società in generale.

Nello specifico, l’obiettivo immediato del Cern è quello di esplorare in che termini e in che tempi il vantaggio quantistico possa dare un apporto significativo alla ricerca scientifica, esplorando quattro aree: computing, sensori, network e teoria quantistica.

La strada verso l’applicazione pratica del quantum computing

Il vantaggio quantistico (chiamato anche supremazia quantistica) è, appunto, la possibilità di risolvere un problema che sarebbe impossibile da affrontare in tempi ragionevoli usando l’informatica binaria e gli algoritmi tradizionali. La cosa, infatti, non è per niente scontata. Se da un lato della bilancia abbiamo il tempo di esecuzione degli algoritmi tradizionali, sull’altro è necessario pesare gli elevati costi di costruzione e funzionamento dei quantum computer (la tecnologia IBM a semiconduttori lavora a temperature prossime allo zero assoluto), la scalabilità per gestire grandi quantità di dati e il fatto che – al momento – i risultati sono soggetti a errori casuali.

“Già ora, con questa tecnologia definita noisy (rumorosa) e senza correzione degli errori è possibile risolvere problemi – specialmente nel campo del quantum machine learning – utilizzando tecniche di mitigazione degli errori, ma per un utilizzo a fini di business e ricerca con risultati affidabili e di alto livello sarà necessario poter utilizzare la correzione degli errori per avere sistemi davvero fault tolerant”, afferma Federico Mattei, Client Technical Leader e IBM Quantum Ambassador.

La strada per il fault tolerant quantum computing passa attraverso la costruzione di qbit logici, formati da qualche centinaio di qbit fisici. Il qbit l’unità minima di elaborazione quantistica che – a differenza dei bit che possono assumere solo i valori 0 e 1 – rappresentano il valore di un vettore tridimensionale dei due stati. Attualmente, il processore IBM Hummingbird utilizza 65 qbit fisici, ma per il 2023 è già previsto il rilascio del processore quantistico Eagle da 127 qbit, con il quale si dovrebbe riuscire a costruire sistemi da 2-3 qbit logici.

“Una volta arrivati ai mille qbit, il problema sarà nel quantum link: come collegare diversi chip da 1.000 qbit mantenendo inalterata l’informazione quantistica. Sarà necessario passare a un altro livello gerarchico per arrivare al milione”, spiega Ivano Tavernelli, Global leader for advanced algorithms for quantum simulations del laboratorio di ricerca IBM di Zurigo.

L’Italia e le competenze nel quantum computing

Come si può notare, nella Quantum Network di IBM non ci sono istituzioni e università italiane. “Probabilmente, c’è una eccessiva distribuzione delle competenze, che in questo campo devono essere interdisciplinari e abbracciare – oltre alle scienze dell’informazione – anche la fisica e le discipline dei campi di applicazione principali, come la chimica, la finanza o il machine learning”, dice Federico Mattei, che sottolinea come Regno Unito e Francia stiano investendo molto nello sviluppo della tecnologia (rispettivamente, 1,8 e 2,65 miliardi di euro), in Italia la si menziona nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma senza altrettanta determinazione.

La carenza di profili avanzati si vede però anche a livello internazionale: nonostante il grande successo di pubblico del corso introduttivo realizzato dal Cern lo scorso novembre (qui le registrazioni delle sette lezioni), l’istituto sta faticando ad assegnare otto progetti di ricerca che richiedono competenze più avanzate.

Per aumentare le conoscenze e permettere a studiosi e sviluppatori di sperimentare questa nuova tecnologia, IBM mette in campo diverse risorse e strumenti. Innanzi tutto, il kit di sviluppo open source QISKIT, che permette di sviluppare circuiti quantistici con un’interfaccia grafica e algoritmi usando Python e notebook Jupiter. La documentazione, anch’essa opens source, è raccolta nel Qiskit TextBook, che può essere usato anche per conseguire i primi livelli di certificazione. I programmi sviluppati possono poi essere testati, anche gratuitamente, utilizzando simulatori o veri computer quantistici accessibili in cloud grazie all’iniziativa IBM Quantum Experience.