Trump taglierà i fondi agli stati che vogliono regolamentare l’IA

Negli USA, il confronto sull’IA si gioca sempre più sul piano del potere politico e istituzionale. L’ultimo ordine esecutivo firmato dal presidente Donald Trump rappresenta un passaggio chiave di questa tensione, tentando di arginare, se non neutralizzare, l’autonomia dei singoli Stati nel regolamentare l’IA dopo che il Congresso ha già respinto per due volte un divieto esplicito alle leggi statali in materia.
L’obiettivo politico, coerente con una linea portata avanti da tempo dalla Casa Bianca e sostenuta apertamente da Big Tech, è evitare un mosaico di regolamentazioni locali che possa rallentare lo sviluppo dell’industria dell’intelligenza artificiale. Secondo la narrativa dell’amministrazione Trump, solo un quadro federale leggero, centralizzato e poco oneroso può garantire agli Stati Uniti di mantenere la leadership globale nell’IA, soprattutto in un contesto di competizione strategica con la Cina.
Al centro dell’ordine esecutivo c’è la creazione di una AI Litigation Task Force all’interno del Dipartimento di Giustizia affidata al procuratore generale Pam Bondi. Il mandato di questo gruppo è individuare e contestare in tribunale le leggi statali sull’intelligenza artificiale ritenute incompatibili con la politica federale dell’amministrazione. Una mossa che segna un’escalation significativa, perché trasforma il conflitto normativo in una strategia apertamente contenziosa, con il governo federale pronto a portare gli Stati davanti ai giudici.
Il paradosso è che questa offensiva legale arriva in assenza di una vera alternativa normativa. L’ordine esecutivo non definisce infatti quale sarà il futuro framework federale sull’IA, limitandosi a incaricare due figure chiave in grado di elaborare raccomandazioni legislative: il consigliere di Trump per IA e criptovalute David Sacks e il consigliere scientifico e tecnologico Michael Kratsios. Nessuna scadenza precisa, nessuna bozza concreta, ma solo l’indicazione che qualcosa dovrà essere proposto. Un vuoto che l’industria guarda con favore, ma che genera una forte incertezza istituzionale.
L’ordine esecutivo impone inoltre tempi rapidi su altri fronti. Entro 30 giorni dovrà essere operativa la task force legale, mentre entro 90 giorni l’amministrazione dovrà completare una serie di azioni potenzialmente esplosive come la compilazione di una lista di leggi statali da sottoporre a contenzioso, la valutazione di restrizioni all’accesso a fondi federali come il programma BEAD per la banda larga e, addirittura, il tentativo di ricondurre alcune normative statali sull’IA alle pratiche scorrette o ingannevoli previste dal Federal Trade Commission Act.
È proprio sul terreno dei finanziamenti che emergono i maggiori dubbi di legittimità costituzionale. Secondo diversi esperti, il presidente non può modificare retroattivamente le condizioni di accesso ai fondi federali attraverso un ordine esecutivo. L’American Civil Liberties Union ha già definito il provvedimento non solo pericoloso, ma apertamente incostituzionale, sostenendo che eventuali sanzioni economiche contro gli Stati rischiano di essere annullate in sede giudiziaria.
Le critiche non arrivano però soltanto da ambienti progressisti, ma anche voci conservatrici e think tank orientati al libero mercato esprimono forte scetticismo. Secondo Ryan Hauser del Mercatus Center, l’idea di contrastare leggi statali palesemente in conflitto con il diritto federale può avere una sua logica, ma senza una legge approvata dal Congresso l’amministrazione si presenta ai tribunali con argomenti deboli. Il rischio è quello di aumentare l’incertezza regolatoria, scoraggiando investimenti e innovazione anziché favorirli.
C’è poi un effetto politico più ampio. Un approccio che combina pressione legale, minacce sui fondi e assenza di leadership legislativa rischia di irrigidire ulteriormente i rapporti tra Stati e governo federale. Invece di creare consenso attorno a una normativa nazionale condivisa, l’ordine esecutivo potrebbe spingere il Congresso verso soluzioni più restrittive e reattive, soprattutto se l’opinione pubblica inizierà a percepire l’IA come un settore lasciato senza freni.
Il contesto rende il quadro ancora più teso se si guarda ai precedenti recenti. Il Congresso ha già bocciato in modo quasi unanime un primo tentativo di imporre una moratoria decennale sulle leggi statali sull’IA, respingendo anche un secondo inserimento del divieto nel National Defense Authorization Act. L’ordine esecutivo di Trump appare quindi come un atto unilaterale che ignora un chiaro segnale politico arrivato dal legislativo.
In assenza di una legge federale solida, condivisa e trasparente, il risultato è uno scenario frammentato e conflittuale. Gli Stati continuano a legiferare, il governo federale minaccia azioni legali e l’industria opera in una zona grigia che favorisce i grandi attori ma aumenta i rischi sistemici. Finché tribunali o Congresso non interverranno a chiarire i limiti di questo ordine esecutivo, gli Stati Uniti sembrano avviati verso una fase di deregulation forzata e instabile, in cui l’IA cresce più per assenza di regole che per una visione strategica condivisa.
(Immagine in apertura: Shutterstock)

