Secondo una ricostruzione abbastanza accreditata, il motivo del licenziamento di Sam Altman da CEO di OpenAI lo scorso weekend è da ricercarsi nella doppia anima dell’organizzazione, e cioè nel desiderio del board di difendere lo statuto fondativo (che ha come obiettivo lo sviluppo di una IA sicura e che porti beneficio all’umanità) dalle ambizioni commerciali che negli ultimi mesi hanno portato al rilascio frettoloso di nuovi modelli e funzionalità, senza una attenta valutazione degli impatti sociali.

Se questo è vero, con l’azione altrettanto frettolosa e sconsiderata di venerdì, il board di OpenAI ha messo in moto una serie di eventi che finiranno in qualunque caso per rendere gli scopi etici dell’organizzazione meno rilevanti nel prossimo futuro.

Comunque si evolva la situazione, tra pochi giorni le due anime di OpenAI – l’azienda e la non-profit – non somiglieranno per nulla all’organizzazione che negli ultimi dodici mesi ha dettato l’agenda dell’innovazione tecnologica globale per quanto riguarda investimenti, strategie e norme giuridiche.

Diversi scenari, nessuno auspicabile per il board

Al momento appare scongiurato un passaggio in Microsoft di Altman, Ilya Sutskever, Greg Brockman e gran parte dei 700 dipendenti firmatari della petizione che chiedeva le dimissioni del board e il reinserimento del CEO. OpenAI si sarebbe ritroverà svuotata dei suoi talenti, avendo bruciato un valore di circa 80 miliardi di dollari (la sua quotazione alla scorsa settimana).

Secondo Reuters, alcuni investitori avrebbero pensato di fare causa al board. Forse il particolare statuto dell’azienda, che esplicita di lavorare per il benessere dell’umanità e non quello degli azionisti, avrebbe potuto salvare i membri del CdA individualmente, ma le ripercussioni per le casse di OpenAI sarebbero state dirompenti. La quota maggiore del finanziamento di Microsoft, per esempio, non è stata erogata in contanti, ma in crediti per futuri utilizzi del cloud Azure.

Anche non volendo considerare il valore economico dell’organizzazione, il board nello scorso weekend ha bruciato soprattutto la possibilità di essere rilevante nel dibattito globale sullo sviluppo etico e sostenibile dell’intelligenza artificiale.

Nelle prime ore di mercoledì OpenAI ha annunciato di aver raggiunto un’intesa di principio per il rientro di Altman al timone di OpenAI, con un rinnovo del board che vedrebbe l’ingresso di Bret Taylor come Presidente (ex Google, Meta, Salesforce, founder di Friendfeed e altre startup), Adam D’Angelo (CEO di Quora, membro del precedente CdA) e Larry Summers (economista. ex Segretario del Tesoro USA e ancora molto vicino alla politica).

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Escono ovviamente di scena i principali promotori della fronda, cosa che farebbe quindi mancare le voci teoricamente più interessate agli obiettivi sociali.  Il Tweet di OpenAI dice inoltre che questo è un assetto “iniziale” del board. Molto probabilmente, si dovrà fare posto a ulteriori membri che rappresenteranno meglio gli interessi degli investitori, come ha lasciato intendere Satya Nadella in un’intervista alla CNBC.

L’incognita sulle menzogne (od omissioni) di Altman

Tra gli aspetti più critici di come OpenAI ha gestito il licenziamento di Altman c’è anche il modo in cui lo ha comunicato. Nell’annuncio pubblico, l’azienda non ha semplicemente detto di avere con Altman delle divergenze nell’indirizzo strategico. Ma ha affermato che l’ex CEO non sarebbe sempre stato “schietto e sincero” nelle comunicazioni al board, e di non potersi più fidare. Che è un modo edulcorato per dire: ci ha mentito.

Una simile affermazione è molto grave e può danneggiare seriamente la futura carriera del manager. Che per questo motivo potrebbe anche intentare una causa per diffamazione.

Se il board ha deciso comunque di formulare così l’annuncio, quel che viene spontaneo pensare è che volesse scongiurare conseguenze ancor peggiori di una causa per diffamazione. Una formula di quel tipo di solito viene usata per mettersi al riparo dalle possibili conseguenze legali di azioni illecite compiute dal dirigente. “Ha agito da solo. Noi non ne sapevamo nulla”.

Cosa c’è di così oscuro e indicibile negli armadi di OpenAI? Il board non lo ha ancora comunicato. E, nell’incertezza, il mercato generalmente pensa alle opzioni peggiori.

  • È qualcosa che potrebbe attirare sull’azienda azioni legali?
  • Richieste di risarcimento?
  • La sua capacità di operare nel futuro?

Se l’azienda non risponderà a queste domande, sarà difficile attirare nuovi capitali in futuro o mantenere a lungo gli attuali investitori.

La culla del capitalismo ha incubato un’azienda collettiva?

Infine, non si può non riflettere sul fatto che il futuro dell’azienda potrebbe essere determinato in larga parte da una rivolta interna dei dipendenti, che hanno minacciato dimissioni di massa se l’azienda non reintegrerà Sam Altman come CEO.

OpenAI e molte aziende simili sono in un mercato in cui il vero asset aziendale è costituito dal talento dei propri ricercatori e dalla capacità di organizzazione ed execution dei manager, mentre i mezzi di produzione (le risorse di calcolo e storage) si possono affittare un tanto all’ora.

Certo, i costi del cloud per l’addestramento e l’inferenza di un modello grande come GPT 4 rimangono enormi. Ma come si è visto – se la tecnologia c’è – non è poi difficile trovare finanziamenti. Specialmente se ci si fa guidare da un tizio che è come una calamita per i quattrini dei venture capitalist, come Sam Altman.

(Immagine di apertura: Open AI Dall-E 2. Prompt: “An artificial intelligence company named “open ai” eating itself, like a mythological creature. Concept art, photorealistic”)