Negli USA, l’adozione di IA nelle grandi aziende è già in calo

Dietro i titoli trionfalistici e le valutazioni record delle big tech, stanno emergendo dati che raccontano una realtà più complessa sull’adozione dell’IA in ambito aziendale: sta rallentando e ci sono segnali che potrebbero anticipare un vero e proprio ridimensionamento delle aspettative.
Secondo l’ultima rilevazione del Census Bureau statunitense, che monitora su base quindicinale l’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale in oltre 1,2 milioni di aziende, il calo registrato tra giugno e agosto 2025 rappresenta il più consistente dall’avvio delle rilevazioni nel novembre 2023. Se a metà giugno quasi il 14% delle aziende con più di 250 dipendenti dichiarava di impiegare strumenti di IA, due mesi più tardi la quota era scesa sotto il 12%. Una flessione che, in termini assoluti, equivale a migliaia di imprese di grandi dimensioni che hanno ridotto o sospeso i propri progetti legati all’intelligenza artificiale.
Il quadro non migliora osservando le fasce intermedie del tessuto produttivo, con le aziende tra i 20 e i 249 dipendenti che hanno mostrato un andamento stagnante o in calo, mentre solo le microimprese con meno di quattro lavoratori hanno fatto segnare un timido incremento. È un dato che stride con la narrazione dominante degli ultimi mesi, secondo cui l’adozione dell’IA sarebbe stata destinata a crescere in maniera costante e inarrestabile.
Le promesse mancate dell’enterprise AI
Il rallentamento non è solo statistico, ma assume un peso particolare perché va a colpire proprio il settore considerato più strategico come l’enterprise AI, ossia l’impiego dell’intelligenza artificiale in contesti aziendali strutturati, dalla finanza al manifatturiero. Per anni investitori e CEO hanno presentato questa declinazione dell’IA come la chiave per costruire modelli di business sostenibili e capaci di generare valore concreto al di là della semplice sperimentazione.
Non mancano esempi di dichiarazioni ottimistiche. Già nel 2024, il CEO di SAP, Christian Klein, si diceva convinto che l’intelligenza artificiale “avrebbe rivoluzionato il modo in cui le aziende operano”. Più recentemente, a giugno, UBS ribadiva che il picco nell’adozione dell’AI era ancora lontano e che l’accelerazione d’uso avrebbe spinto una nuova ondata di monetizzazione in tutti i settori.
La realtà, almeno per ora, racconta una storia diversa. Secondo i dati raccolti, il 95% delle aziende americane che ha implementato soluzioni di IA non ha registrato alcuna nuova fonte di ricavo. In altre parole, i progetti non hanno prodotto un ritorno economico tangibile, mentre i costi di integrazione e formazione sono rimasti elevati.

A far segnare il rallentamento maggiore nell’azione dell’IA negli ultimi mesi sono state le aziende con più di 250 dipendenti.
L’IA come bolla finanziaria?
Questo divario tra aspettative e risultati si riflette sui mercati. Le azioni tecnologiche continuano a toccare record storici spinte dal “fattore AI”, ma diversi analisti finanziari iniziano a mettere in guardia dal rischio che l’intero comparto non riesca mai a recuperare le enormi spese sostenute per lo sviluppo. L’impressione diffusa è che l’innovazione, almeno nel breve termine, abbia raggiunto una sorta di plateau, con i miglioramenti incrementali che non giustificano gli investimenti miliardari, né sostengono la narrativa di un’IA vicina a livelli di intelligenza umana.
Un segnale in questa direzione è arrivato anche dal lancio di GPT-5, l’LLM più recente di OpenAI atteso come un salto di qualità epocale che ha però deluso le aspettative, registrando performance inferiori rispetto ad altri modelli concorrenti nei benchmark più diffusi. L’impatto è stato talmente deludente che già si parla di un’accelerazione della roadmap verso GPT-6, nel tentativo di riaccendere l’hype.
A peggiorare il quadro c’è il ritorno a strategie aziendali più tradizionali. Molte imprese che avevano rallentato le assunzioni o addirittura ridotto la forza lavoro confidando in un rapido rimpiazzo grazie all’IA, ora stanno facendo marcia indietro e ricominciando a cercare personale umano. È un segnale concreto della distanza tra la promessa di automazione e l’effettiva capacità degli algoritmi di sostenere la produttività.
Il rischio, sottolineano alcuni osservatori, è che la brusca frenata dell’adozione non rappresenti un fenomeno temporaneo ma l’inizio di una discesa più ripida, in grado di ridimensionare profondamente le prospettive dell’intero settore. Se l’intelligenza artificiale non riuscirà a “pagarsi da sola” generando valore economico reale, la fiducia degli investitori potrebbe incrinarsi e trasformare la fase attuale in una delle più grandi bolle tecnologiche degli ultimi decenni.
Oltre l’hype, verso una fase di maturità?
Al di là delle preoccupazioni, il rallentamento potrebbe anche essere letto come una fase fisiologica di assestamento. D’altronde, l’adozione di tecnologie complesse raramente procede in linea retta, ma spesso attraversa cicli di euforia e disillusione, come accaduto in passato con internet e con il mobile. In questo senso, il rallentamento nell’uso aziendale dell’IA non decreta la fine del settore, ma ne ridisegna i confini, imponendo un ritorno alla concretezza.
Le prossime sfide saranno dimostrare casi d’uso realmente scalabili, abbattere i costi di implementazione e rendere più chiaro il ritorno sugli investimenti. Solo così l’intelligenza artificiale potrà passare dall’essere un fenomeno di moda all’assumere il ruolo di infrastruttura strategica. Per il momento, però, l’estate 2025 segna un brusco risveglio: l’IA non è (ancora) la panacea universale promessa e il futuro del settore dipenderà dalla capacità di trasformare hype e investimenti in risultati concreti.
(Immagine in apertura: Shutterstock)