Le PMI italiane stanno attraversando una fase cruciale in cui la tecnologia, la fiducia e la capacità di distinguersi in un mercato saturo convergono per ridefinire priorità e opportunità. Il nuovo Work Change Report di LinkedIn, basato sull’analisi di oltre 18 milioni di PMI presenti sulla piattaforma, fotografa un ecosistema imprenditoriale in pieno fermento, dove l’IA è ormai una leva determinante che sta rimodellando ambizioni, modelli lavorativi e prospettive di crescita.

Uno dei dati più significativi è l’impennata dell’imprenditorialità. A livello globale, tra luglio 2024 e luglio 2025, il numero di utenti che ha aggiunto la parola “founder” al proprio profilo è cresciuto del 60%, un valore che raddoppia rispetto al 2022 nei dieci mercati monitorati. È un indicatore importante, che racconta una rinnovata volontà di reinventarsi e mettersi in proprio. In Italia, questo sentimento è ancora più marcato, con quasi quattro lavoratori su dieci attivi nelle piccole imprese secondo i quali l’ascesa dell’IA li ha spinti a considerare percorsi imprenditoriali fino a poco tempo fa neppure immaginati.

L’intelligenza artificiale diventa così un fattore psicologico oltre che tecnologico, una spinta verso l’autonomia professionale alimentata dalla percezione che le barriere d’ingresso si stiano abbassando.

L’IA viene infatti descritta come un grande equalizzatore, una tecnologia capace di avvicinare le piccole realtà ai colossi del mercato. L’85% delle PMI globali la utilizza già e lo scenario competitivo non riguarda più l’opportunità di adottarla, ma la rapidità con cui lo si fa e l’efficacia con cui la si integra nei processi. Questo è particolarmente evidente in Italia, dove il 56% dei lavoratori nelle piccole imprese ritiene che l’IA migliorerà la propria quotidianità lavorativa e dove cresce costantemente il numero di professionisti che la adopera non in modo superficiale, ma per compiti avanzati come l’analisi dei dati, la definizione di strategie complesse o l’uso di agenti IA in grado di automatizzare interi flussi operativi.

Al tempo stesso, una quota altrettanto rilevante utilizza l’intelligenza artificiale per attività quotidiane come la stesura di email, la redazione di appunti o la ricerca di informazioni. Il suo impatto è così capillare da interessare ogni area aziendale, dall’automazione del customer service alla generazione di contenuti marketing, dalla selezione del personale all’elaborazione di decisioni data-driven che fino a pochi anni fa erano prerogativa delle grandi imprese. Non sorprende quindi che sette responsabili marketing su dieci, nel nostro Paese, credano che l’IA permetterà ai brand più piccoli di confrontarsi con player di dimensioni molto maggiori su territori che prima sembravano irraggiungibili.

IA PMI

Crediti: Shutterstock

Secondo Marcello Albergoni, Country Manager di LinkedIn Italia, ciò che rende davvero rivoluzionaria l’intelligenza artificiale non è semplicemente l’accesso agli strumenti, ma la capacità di sfruttarli, interpretarli e applicarli con maturità. Per le piccole imprese, afferma, l’IA non è più un’opzione ma una corsa aperta in cui contano la velocità, la qualità delle competenze e il discernimento con cui si investe nella tecnologia.

Un punto ribadito anche dai dati relativi alle skill. Nelle realtà italiane tra 11 e 50 dipendenti, le competenze relative all’IA per lavoratore sono cresciute del 54% in un solo anno, un ritmo nettamente superiore a quello registrato nelle grandi aziende, dove l’aumento si ferma al 39%. La formazione interna svolge un ruolo essenziale, con quasi la metà dei dipendenti che dichiara di aver imparato a usare l’IA direttamente grazie ai programmi formativi messi a disposizione dai propri datori di lavoro.

Nonostante questo progresso, permane un senso di disorientamento. Oltre un terzo dei professionisti non sa quali competenze, oltre all’IA, saranno decisive per la propria carriera futura. Quando si tratta di apprendere, i lavoratori mostrano una preferenza per modalità flessibili e immediate come tutorial e formazione virtuale, seguiti dall’esperienza diretta su progetti reali e dall’apprendimento da esperti del settore, considerato un valore affidabile e concreto.

Parallelamente, cresce l’esigenza di autenticità. L’esplosione di contenuti generati automaticamente rischia infatti di minare la fiducia nel messaggio dei brand. Il 77% dei marketer italiani ritiene che, proprio a causa dell’intelligenza artificiale, sia sempre più importante comunicare attraverso voci umane reali. La credibilità diventa un patrimonio da costruire e consolidare attraverso la testimonianza di clienti, partner, esperti e creator, ritenuti gli interlocutori più affidabili nella costruzione della reputazione.

In questo scenario di trasformazione rapida, le relazioni professionali assumono un valore strategico. La rete di contatti influenza la generazione di opportunità, la capacità di affrontare momenti critici e perfino le decisioni di assunzione, anche se chi opera in imprese con meno di 50 dipendenti vede crescere il proprio network a un ritmo più lento rispetto ai colleghi delle grandi aziende, un gap che rischia di amplificare le differenze competitive.

Il Work Change Report di LinkedIn identifica infine tre messaggi chiave per le PMI italiane: investire con decisione nell’IA, costruire un brand credibile attraverso voci autentiche e trasformare le relazioni professionali in un vero vantaggio competitivo. Sono tre direttrici che, se integrate con consapevolezza, possono guidare le imprese nella fase più delicata della loro evoluzione, trasformando l’incertezza in slancio e la tecnologia in un alleato concreto di crescita.

(Immagine in apertura: Shutterstock)