Non basta dire “intelligenza artificiale” perché le aziende si convincano ad adottarla. Serve concretezza, serve avere chiarezza sul ritorno atteso dall’investimento (ROI). È questo, in estrema sintesi, il messaggio che arriva dalla conferenza stampa di Axiante, società italiana che si definisce “Business Innovation Integrator” e che opera nella consulenza e nell’implementazione di soluzioni digitali innovative facendo leva sulle tecnologie e i dati già presenti in azienda.

A emergere è un quadro chiaro: l’AI non è più una scommessa tecnologica, ma un problema organizzativo e strategico. E in Italia, sebbene molte grandi aziende abbiano già cominciato a integrarla nei loro processi, la maggior parte delle PMI è ancora ferma alla fase di sperimentazione.

Il nodo dell’adozione: ROI e contesto applicativo

“Quel che vediamo con l’AI è lo stesso che abbiamo visto con altre tecnologie innovative: prima di abbracciare la novità, le aziende hanno bisogno di concretezza”, ha spiegato Romeo Scaccabarozzi. L’amministratore delegato di Axiante ha puntato il dito contro un fenomeno diffuso: l’incapacità di immaginare l’applicazione dell’AI nel proprio contesto specifico. “Fintanto che le aziende tech continuano a raccontare storie lontane, il manager che ha in carico alcune scelte non vede benefici concreti nel proprio settore e campo di applicazione e continuerà ad affrontare l’AI in modo timido”.

Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante

Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante

Secondo Scaccabarozzi, è proprio l’incertezza sul ritorno dell’investimento a frenare l’adozione dell’AI, soprattutto nei settori in cui la digitalizzazione è meno avanzata. Dalla GDO all’industria, dai trasporti ai servizi – comparti che rappresentano oltre il 70% del tessuto produttivo italiano – il sentiment è quello della cautela: proof-of-concept, test, piccoli progetti pilota per tastare il terreno.

L’unica area dove l’AI ha già conquistato un ruolo da protagonista è il marketing: “Marketing e sales primeggiano non a caso: sono ambiti dove le aziende negli ultimi anni hanno speso sempre più per ottenere sempre meno ritorni. L’AI rappresenta la nuova speranza per personalizzare le comunicazioni su larga scala, fidelizzare il cliente e penetrare meglio mercati già esistenti”, ha aggiunto citando i dati di una ricerca McKinsey QuantumBlack riportati qui sotto.

Grafico a bolle che mostra l'incrocio nell'adozione della IA tra le diverse funzioni di differenti settori verticali

L’incrocio nell’adozione della IA tra le diverse funzioni di differenti settori verticali

L’altra metà dell’AI: i dati

A richiamare l’attenzione sulla materia prima dell’AI – i dati – è stato Mirko Gubian, Global Demand Senior Manager e Partner di Axiante. Scarsa qualità e bassa quantità dei dati disponibili sono il primo ostacolo per sviluppare modelli utili, ha spiegato. A questo si aggiungono i vincoli normativi sulla privacy, che limitano la conservazione e l’utilizzo di dati sensibili.

La soluzione? Utilizzare i dati sintetici, generati artificialmente per simulare dataset reali. Una tecnologia che Axiante già utilizza e considera strategica per scalare dai proof of concept all’implementazione in produzione. “Nel 2024, più del 50% dei dati usati per addestrare modelli era sintetico. Gartner prevede che entro il 2030 si arriverà al 90%”, ha affermato Gubian.

Mirko Gubian, Global Demand Senior Manager e Partner di Axiante

Mirko Gubian, Global Demand Senior Manager e Partner di Axiante

Il loro utilizzo però nasconde anche insidie: i dati sintetici possono amplificare i bias presenti nei dataset di origine. “Se non li maneggi con competenza, rischi di costruire modelli distorti, che soffrono di fenomeni come l’overfitting, che sembrano funzionare in fase di test ma poi crollano nei casi reali. Servono competenza teorica, ma anche molta esperienza pratica per saperli impiegare e valutare i risultati”, ha sottolineato.

Gubian ha anche descritto il ruolo di Axiante nell’accompagnare i clienti lungo tutto il ciclo di vita dei progetti AI: dalla valutazione iniziale alla produzione, passando per la selezione dei dati e la fase critica del test. “Anche un PoC deve essere alimentato da dati. L’assessment iniziale serve a capire se ciò che oggi posso fare in laboratorio, potrò farlo anche quando dovrò scalare in produzione”.

CDP e Customer Intelligence: due strumenti, un’unica esigenza

Chiudendo l’incontro, lo Strategic Account Director e Partner Antonio D’Agata ha spostato il focus su un ambito concreto di applicazione dell’AI e dei dati: il marketing personalizzato. Due le tecnologie chiave: le Customer Data Platform (CDP), che unificano dati da fonti diverse in un unico profilo cliente, e le soluzioni di Customer Intelligence, che analizzano quei dati per estrarre insight, prevedere comportamenti, migliorare la segmentazione.

Strategic Account Director e Partner Antonio D’Agata ha

Antonio D’Agata, Strategic Account Director e Partner di Axiante

La differenza, ha spiegato D’Agata, sta nella funzione: la CDP aggrega i dati, la CI li interpreta. In entrambi i casi, l’intelligenza artificiale gioca un ruolo decisivo: “L’AI entra in gioco nell’identity resolution, la capacità di stabilire che Mario Rossi e m.rossi sono la stessa persona, usando pattern di navigazione, dispositivi, contesto. È lì che il dato si trasforma in valore”.

Un trend destinato a crescere: secondo Gartner, il mercato globale passerà dai 5,4 miliardi di oggi ai 24 miliardi nel 2029. In Italia la crescita sarà trainata da cloud e AI generativa, con applicazioni soprattutto in retail, banking/insurance e sanità.

In definitiva, il messaggio di Axiante è chiaro: l’AI è pronta, ma le PMI italiane sono ancora timide nell’adozione su larga scala. E se l’entusiasmo iniziale ha lasciato spazio a una fase di valutazione e test, è proprio ora che serve avere visione strategica. Perché i modelli si allenano con i dati, ma le decisioni si prendono con le persone. E le persone – CIO in testa – devono saper distinguere tra hype e impatto reale.