I numeri, a prima vista, raccontano una storia rassicurante. Il 65% dei dipendenti, secondo una recente indagine di Gartner, si dichiara entusiasta all’idea di usare l’intelligenza artificiale sul lavoro. Un dato che sembra smentire una delle narrazioni più diffuse nei board aziendali secondo cui il mancato ritorno degli investimenti in IA sarebbe dovuto alla resistenza delle persone. Il problema, però, emerge appena si guarda sotto la superficie, visto che nella pratica una parte significativa della forza lavoro continua a non usare strumenti di IA pur avendone la possibilità.

Il paradosso è evidente nei risultati dello stesso studio, condotto su quasi 3.000 dipendenti nel luglio 2025. Il 37% degli intervistati dichiara di non utilizzare l’IA semplicemente perché i colleghi non lo fanno. Non quindi per paura, non per rifiuto ideologico, ma per dinamiche sociali e organizzative. In molte aziende, l’adozione dell’intelligenza artificiale non fallisce per mancanza di curiosità o apertura mentale, ma perché viene introdotta in modo isolato, senza quindi creare un contesto condiviso in cui il suo utilizzo sia legittimo, visibile e coerente con il lavoro quotidiano.

Secondo Gartner, la radice del problema va cercata nell’urgenza che caratterizza molte decisioni executive sull’IA. Pressati dal mercato, dalla concorrenza e dalla narrativa dell’inevitabilità tecnologica, molti vertici aziendali accelerano le implementazioni senza interrogarsi a fondo sulle implicazioni per l’organizzazione e per l’esperienza dei dipendenti. L’IA entra così nei processi come una soluzione tecnica e non come un cambiamento del modo di lavorare.

Un elemento ricorrente in questo tipo di iniziative è l’assenza della funzione HR dai tavoli decisionali. Come sottolinea Eser Rizagolu di Gartner, le decisioni sull’adozione dell’IA vengono spesso prese senza il coinvolgimento delle risorse umane. Il risultato è una combinazione pericolosa fatta di aspettative disallineate tra management e dipendenti, scarsa adozione reale degli strumenti e, alla fine, un valore di business molto inferiore a quello promesso nei business case iniziali.

Per uscire da questa impasse, Gartner invita i Chief Human Resources Officer (CHRO) a ripensare il ruolo dell’HR nella strategia IA, spostandolo da funzione reattiva a co-protagonista. La governance dell’IA, in questa prospettiva, non può limitarsi alla compliance normativa o alla sicurezza delle informazioni. Deve includere in modo strutturato l’impatto sull’esperienza delle persone (carichi cognitivi, fiducia negli strumenti, percezione di equità e chiarezza sugli obiettivi).

IA azienda

Crediti: Shutterstock

Quando l’HR viene escluso, si trova a gestire a posteriori gli effetti collaterali delle decisioni tecnologiche. Al contrario, una governance condivisa tra HR, IT, sicurezza, legale e business consente di “stressare” le soluzioni di IA anche dal punto di vista organizzativo. In questo modo, l’IA viene presentata come una leva di produttività e coinvolgimento, non come un’imposizione calata dall’alto.

Un altro aspetto critico riguarda la fase di sperimentazione. Gartner suggerisce di concentrarsi inizialmente su dipendenti che combinano curiosità digitale e capacità di collaborazione. Non necessariamente i profili più tecnici, ma quelli che lavorano su flussi informativi complessi, comunicazione, coordinamento e trasformazione dei contenuti. Coinvolgere queste persone nella fase di prova consente di dimostrare il valore dell’IA come strumento di supporto al lavoro quotidiano, piuttosto che come tecnologia astratta o minaccia latente.

Questo perché l’IA genera valore quando amplifica il lavoro collaborativo, non quando resta confinata all’uso individuale o sperimentale. Ecco perché la fase di proof of value dovrebbe essere progettata come un’esperienza collettiva, in cui l’uso dell’IA migliora obiettivi condivisi e produce risultati osservabili anche da chi non la utilizza direttamente.

Una volta validate le soluzioni, il tema diventa la scalabilità. Qui, secondo Gartner, entra in gioco un passaggio spesso trascurato, ovvero la comprensione di come i diversi dipendenti reagiscono all’IA. Non tutti hanno lo stesso atteggiamento, lo stesso livello di fiducia o la stessa propensione all’adozione. Analizzare i dati di utilizzo e raccogliere feedback strutturati consente di misurare se l’IA migliora davvero qualità e tempestività del lavoro e, soprattutto, di progettare percorsi di apprendimento mirati.

L’adozione efficace dell’IA non nasce infatti da programmi di formazione indistinti, ma dalla capacità di riconoscere comportamenti, aspettative e resistenze diverse all’interno della popolazione aziendale. In questo senso, il ruolo dell’HR diventa centrale come architetto di una cultura del lavoro in cui l’IA è integrata, condivisa e percepita come uno strumento legittimo.

(Immagine in apertura: Shutterstock)