Negli ultimi giorni, il dibattito giuridico sul rapporto tra diritto d’autore e intelligenza artificiale ha vissuto una svolta significativa negli Stati Uniti, con tre cause emblematiche che hanno visto coinvolte Anthropic, Microsoft e Meta. Questi casi, pur con esiti diversi, delineano i primi confini giurisprudenziali sull’uso di opere protette per l’addestramento di modelli generativi di IA e pongono interrogativi cruciali per il futuro dell’industria creativa e tecnologica.

Il caso Anthropic: una prima vittoria per il “fair use”

Il 24 giugno 2025, il giudice federale William Alsup di San Francisco ha stabilito che l’uso da parte di Anthropic di libri protetti da copyright, senza autorizzazione, per addestrare il proprio LLM Claude costituisce “fair use” secondo il diritto statunitense. La decisione rappresenta la prima applicazione esplicita della dottrina del fair use all’addestramento di IA generative.

Secondo Alsup, la pratica di impiegare opere letterarie per migliorare la capacità del modello di rispondere a domande umane rientra tra gli usi consentiti, in quanto considerata trasformativa e utile al progresso tecnologico. Tuttavia, il giudice ha precisato che la modalità con cui Anthropic ha archiviato le opere in una “libreria centrale” viola invece il copyright degli autori e non può essere giustificata come fair use.

La causa era stata intentata da scrittori come Andrea Bartz, Charles Graeber e Kirk Wallace Johnson, che accusavano Anthropic di aver utilizzato versioni digitali non autorizzate dei loro libri senza compenso. Il caso Anthropic si inserisce in un’ondata di azioni legali promosse da autori, editori e detentori di copyright contro aziende come OpenAI, Microsoft e Meta, tutte accusate di aver sfruttato opere protette per addestrare i propri sistemi senza licenza.

Microsoft sotto accusa: la nuova causa degli autori

Il giorno successivo, il 25 giugno 2025, un gruppo di autori tra cui Kai Bird, Jia Tolentino e Daniel Okrent ha citato in giudizio proprio Microsoft presso la corte federale di New York, accusando il colosso di Redmond di aver utilizzato quasi 200.000 testi piratati per addestrare l’algoritmo Megatron. Gli scrittori sostengono che Microsoft ha creato un sistema capace di produrre risposte che imitano lo stile, il tono e i temi delle opere protette, senza alcuna autorizzazione o compenso.

Crediti: Shutterstock

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Questa nuova causa si inserisce nel contesto delle recenti sentenze favorevoli alle aziende tecnologiche, ma sottolinea come il tema sia tutt’altro che risolto. Gli autori lamentano la creazione di “modelli computazionali che attingono alle creazioni di numerosi autori e sono progettati per generare espressioni che imitano le opere originali”. Il caso Microsoft dimostra che, nonostante la sentenza Anthropic, la battaglia legale è destinata a proseguire con nuovi argomenti e strategie.

Meta e la seconda sentenza favorevole alle Big Tech

Sempre il 25 giugno, il giudice federale Vince Chhabria ha respinto la causa intentata da 13 autori contro Meta relativa all’uso non autorizzato dei loro libri per addestrare il modello Llama. Chhabria ha motivato la decisione affermando che i ricorrenti “hanno presentato argomentazioni sbagliate e non hanno sviluppato un record probatorio adeguato a sostegno della tesi giusta”. Il giudice ha sottolineato che la sentenza non implica la liceità generale dell’uso di opere protette per addestrare IA, ma si limita a rigettare le specifiche pretese di questi autori.

Chhabria, tuttavia, ha riconosciuto i rischi che i modelli generativi pongono al mercato delle opere creative, osservando che la capacità delle IA di produrre rapidamente testi, immagini e musica potrebbe “ridurre l’incentivo a creare in modo tradizionale”. Ha inoltre lasciato intendere che, con argomentazioni più solide, futuri ricorrenti potrebbero ottenere un esame più favorevole delle proprie istanze.

Tra tutela della creatività e innovazione tecnologica

Le tre sentenze riflettono la complessità del bilanciamento tra la tutela dei diritti degli autori e la promozione dell’innovazione tecnologica. Da un lato, la dottrina del fair use si conferma uno strumento cruciale per le aziende tecnologiche, consentendo l’uso di opere protette in contesti ritenuti trasformativi e di pubblica utilità. Dall’altro, i giudici riconoscono i timori degli autori circa la perdita di valore economico e culturale delle proprie opere, nonché la possibilità che le IA generative producano contenuti in concorrenza con quelli originali.

Le decisioni di Alsup e Chhabria, pur favorevoli alle Big Tech, sono circoscritte ai singoli casi e non escludono future condanne in presenza di argomentazioni più convincenti o di prove concrete di danno economico. Inoltre, la sentenza Anthropic ha già individuato un limite importante, ovvero che la mera archiviazione centralizzata delle opere protette non è coperta dal fair use e può costituire violazione del copyright.

(Immagine in apertura: Shutterstock)