La volatilità delle criptovalute è cosa nota, e non stupisce il fatto che i loro valori siano legati all’emotività di chi investe. Secondo un post dell’ormai defunto Bitconnect (che è definitivamente crollato a gennaio di quest’anno ed era stato descritto come un truffaldino “schema di Ponzi”), il prezzo di una criptovaluta dipende da una serie di fattori: la domanda e l’offerta, l’impegno necessario per rendere sicura la blockchain, il “livello di difficoltà” dei calcoli, l’utilità di una valuta, la diluizione del mercato, i media, l’azione del governo.

Ma tutto questo, forse, è solo una percezione. Secondo una nuova ricerca dei prezzi delle criptovalute della Business School dell’Università di Warwick, nel Regno Unito, i prezzi delle criptovalute non sono influenzati da alcun fattore economico, ma sono “guidati esclusivamente dall’emotività degli investitori”.

L’autore della ricerca, l’italiano Daniele Bianchi, ha studiato e analizzato i modelli di trading settimanali delle 14 principali criptovalute, tra cui i Bitcoin, da aprile 2016 a settembre 2017 e non ha trovato alcuna correlazione tra indicatori economici e decisioni degli investitori.

Nel documento “Cryptocurrencies as Asset Class? An Empirical Assessment” Bianchi conclude che i prezzi sono interamente influenzati dai rendimenti passati e “dall’emotività degli investitori mentre guardano il prezzo salire o scendere“.

Le criptovalute non sono come le normali valute, il cui valore è influenzato dall’economia di un Paese. Sono più simili agli investimenti nel capitale di una società high-tech. Di fatto, la maggior parte di queste criptovalute nasce attraverso aste non regolamentate simili alle IPO, le cosiddette Initial Coin Offering“, ha spiegato Bianchi. “Di conseguenza, il mercato delle criptovalute potrebbe sembrare simile alla bolla dot.com alla fine degli anni ’90, e può darsi che solo una manciata di queste sopravviva, quindi per gli investitori è come scegliere chi sarà l’Amazon di oggi”.

Naturalmente, anche i mercati azionari consolidati sono estremamente suscettibili allo stato d’animo dell’investitore – il cosiddetto “sentiment”. È essenzialmente una scommessa sul futuro. Persino l’oro che, come le criptovalute, non produce reddito, è legato alle realtà di produzione, risultati e relazioni dichiarate pubblicamente dalle compagnie minerarie.

Bianchi mostra che il volume di criptovaluta negoziato è “principalmente guidato da rendimenti passati e da un effetto di breve durata dell’incertezza del mercato aggregato“. Inoltre, ha scoperto che l’attività di trading non ha avuto alcuna relazione significativa con “fattori macroeconomici“.

Il documento indica che il Bitcoin ha accumulato oltre l’80% del volume complessivo delle criptovalute scambiate prima del 2017, ma poi è sceso a circa il 40% verso la fine del periodo campione, settembre 2017. Ha anche rilevato che all’inizio del 2017, prima che il governo cinese chiudesse le piattaforme di scambio, quasi tutto il commercio dei Bitcoin è stato fatto in Yuan cinesi. La maggior parte viene ora effettuata in dollari USA, seguiti da Yen giapponesi ed Euro.

Le criptovalute hanno più in comune con un investimento azionario in un’azienda che un investimento in una valuta tradizionale. Per esempio, detenere Bitcoin può essere visto come un investimento nella tecnologia blockchain piuttosto che una semplice speculazione“, ha sottolineato Bianchi. “Detto ciò, i rendimenti del portafoglio sono altamente volatili, e negano così le possibilità di utilizzare la strategia del ‘momentum’ per il trading in criptovalute. Sebbene vi sia un certo potere predittivo delle performance passate per i rendimenti futuri, la redditività di una strategia di momentum nei mercati delle criptovalute è significativa solo a brevissimo termine”.