Un impianto di riciclaggio a Barrie, in Ontario (Canada), è stato il palcoscenico di un enorme furto di prodotti ai danni di Apple. Come riporta nel dettaglio Bloomberg, si tratta di migliaia di iPhone, iPad e persino Apple Watch che sono svaniti letteralmente nel nulla, nonostante i rigorosi controlli imposti da Apple stessa.

Ma andiamo con ordine. Apple ha stretto un accordo con Geep Canada per il riciclo dei suoi dispositivi, ma con un’importante clausola: tutto ciò che veniva inviato lì doveva essere distrutto e, più precisamente, macinato in piccoli pezzi da enormi trinciatrici industriali. Niente rivendita, niente riutilizzo, solo rottami. Lo scopo di Apple era ovviamente quello di evitare che prodotti usati a basso costo potessero interferire con le vendite dei nuovi modelli.

Nello stabilimento canadese, Apple aveva allestito una vera e propria “gabbia” con metal detector e telecamere dove una squadra selezionata di operai apriva e smontava i dispositivi prima di inviarli alle trinciatrici. Eppure, qualcosa non è andato per il verso giusto. Durante un’ispezione a sorpresa nel 2017, gli investigatori di Apple scoprono infatti non solo che tonnellate di materiale sono scomparse, ma anche che migliaia di iPhone destinati al macero erano in realtà stati riattivati da nuovi utenti in Cina.

Nel 2020 Apple fa causa a Geep per oltre 22 milioni di dollari, accusandola di aver orchestrato un vero e proprio “schema criminale” in cui i dipendenti rubavano i prodotti e li dirottavano a terzi che li rivendevano sul mercato nero. Geep ammette il problema, ma dà la colpa a “dipendenti ribelli” e nega qualsiasi coinvolgimento diretto.

Il robot Daisy in azione

Il robot Daisy in azione

Ma la storia non finisce qui. Alcuni mesi dopo infatti la stessa Geep contrattacca e fa causa a tre ex dipendenti accusandoli di aver dirottato quasi 100.000 dispositivi Apple verso un’altra azienda. Il caso solleva però alcune domande “scottanti” per Apple, che si era impegnata a raggiungere zero emissioni di carbonio entro il 2030 e aveva dichiarato che il riutilizzo dei suoi dispositivi sarebbe stato il modo principale per raggiungere questo obiettivo. Eppure, da questa vicenda, emersa solo nei giorni scorsi seppur si trascini da ormai quattro anni, risulta che migliaia di prodotti apparentemente funzionanti (considerando che venivano poi rivenduti e riattivati) finivano al macero.

Ma c’è un altro risvolto interessante della vicenda e riguarda le difficoltà di Apple nel rendere il riciclo dei suoi prodotti davvero efficiente ed eco-compatibile. Il famoso robot Daisy adibito allo smontaggio automatico degli iPhone (fino a 200 all’ora) sembra che sia molto meno efficiente del previsto, tanto che la maggior parte degli impianti si affida ancora a vecchi (e ben poco green) metodi manuali e distruttivi.

Al di là quindi del contenzioso giuridico tra Apple e Geep Canada, questa vicenda fa capire che la strada per un riciclo tecnologico davvero sostenibile è ancora lunga e tortuosa persino per un gigante come Apple. Con milioni di dispositivi da smaltire ogni anno, l’industria deve trovare soluzioni innovative per non sprecare risorse preziose e potenzialmente riutilizzabili.