La metodologia Agile, che prevede progetti che cambiano continuamente adattando lo sviluppo in base alle necessità degli utenti di business in un continuo confronto, fa ancora fatica a introdursi in alcune aziende particolarmente burocratizzate e nel settore pubblico. Queste organizzazioni prevedono gare con condizioni rigide e costi definiti, condizioni incompatibili con questo approccio allo sviluppo software. Malgrado ciò, la necessità di introdurre una digitalizzazione profonda dei processi, reagire velocemente a stimoli esterni o implementare tecnologie emergenti, sta convincendo sempre più aziende innovative ad abbracciare questa filosofia.

Ne è una dimostrazione lo sviluppo della “Agile digital factory” italiana Webscience, che dopo una crescita organica del 20% all’anno circa negli ultimi anni (100 dipendenti e 10 milioni di fatturato nel 2022), è stata acquisita a inizio anno da Adesso SE, gruppo da più di 8.000 dipendenti e 900 milioni di fatturato, per stabilire così la sua base in Italia.

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“Lavoriamo da sempre per grandi clienti con interessi internazionali, ma la connotazione domestica da boutique software house non ci bastava più. Avevamo aspirazioni realmente internazionali. Per questo abbiamo deciso di unirci a un gruppo internazionale che avesse il nostro stesso Dna”, spiega a DigitalWorld il founder di Webscience Stefano Mainetti.

“Ci siamo riconosciuti nel purpose del gruppo (Growing together) e nella profonda fiducia nella metodologia Agile. Abbiamo usato i principi dell’Agile Manifesto anche per gestire la fase di acquisizione, chiudendoci dalle 7.30 alle 9 di sera in un ufficio con panini, bibite e una lavagna”.

Agile: un rimedio ai bandi di gara sul software poco onesti

Tra i punti condivisi, la ferma convinzione di voler perseguire solo una clientela disposta a sposare il modello Agile, disposta a una una continua collaborazione tra sviluppatori e utenti, lavorando per iterazioni con rilasci frequenti e apprendendo dalla collaborazione per ridefinire gli obiettivi e la portata del progetto. “La nostra esperienza dimostra che in questo modo i progetti procedono più velocemente, c’è una maggiore soddisfazione per i risultati e – in definitiva – si spende meno”, afferma Mainetti.

Stefano Mainetti, founder di Webscience

Stefano Mainetti, founder di Webscience

Per lavorare in questo modo, occorre stabilire una forte relazione improntata alla fiducia reciproca. “Molte aziende fanno gare a pacchetto per una certa funzionalità, ma le condizioni pratiche in cui andrà sviluppata sono ignote. Spesso queste aziende sono bloccate in regole di governance che impongono questo modo di lavoro, ma per noi è un approccio intellettualmente disonesto. I capitolati di gara spesso sono costruiti progettando il motivo per cui si andrà a litigare. Spesso tra fornitore e cliente ci sono un reciproco sospetto e una reciproca malafede”.

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Non è raro, infatti, che i clienti definiscano le funzionalità da sviluppare nascondendo enormi problemi di integrazione che lo sviluppatore scoprirà solo in seguito e dovrà superare a proprie spese. O che, al contrario, i fornitori software rilascino un prodotto che corrisponde alla lettera al capitolato, ma che per funzionare correttamente richiederà molte più giornate/uomo, che saranno fatturate separatamente al cliente come change request o nuova funzionalità.

“Con la metodologia Agile possiamo approcciare il cliente in totale buona fede, perché con un rilascio ogni quindici giorni ci si può confrontare e vedere immediatamente se la relazione funziona ed è profittevole per entrambi, misurando metriche e obiettivi. Se così non è, si può interrompere il rapporto e salutarsi senza grandi conseguenze”. Mainetti non ha problemi ad ammettere che Webscience in questa fase ha lasciato sul tavolo diverse opportunità di business, perché entrambe le parti hanno convenuto che questo tipo di relazione non funzionava per l’organizzazione o il progetto in questione.

IA generativa: avanti con giudizio

Sul tema del momento, i large language model e la IA generativa, l’azienda sta adottando un approccio prudente: “Con la IA è possibile arrivare a dei proof of concept che generano “l’effetto wow”, ma sotto la superficie il progetto non è nemmeno partito, perché magari manca il giusto mindset per costruire e gestire il ciclo di vita dei dati necessario a far funzionare bene la IA. In ogni caso, il gruppo Adesso ha fatto partire una practice e siamo molto attenti a imparare il più possibile”.

Discorso diverso invece per quanto riguarda l’utilizzo della IA generativa, come Copilot, come aiutante nello sviluppo del software, che offre davvero una marcia in più a sviluppatori di ogni livello di competenza. “Abbiamo molte persone giovani che si gratificano con il lavoro, molto orgogliosi del proprio codice, che rifiutano qualsiasi assistenza da parte della IA, ma è un mindset da sconfiggere, perché l’aumento di produttività, così come la possibilità di concentrarsi sui compiti che davvero richiedono abilità e competenza umana, non si possono ignorare. Gli sviluppatori devono trovare il modo per usare questi strumenti, mettendo comunque in risalto la propria individualità”.

Tra i compiti meno gratificanti che la IA riesce a svolgere ottimamente Mainetti cita la scrittura della documentazione, i test automatici e i porting di codice da un ambiente all’altro. Secondo Mainetti, quella del bravo sviluppatore non è una professione a rischio nel futuro, ma chi scrive la documentazione o fa test sui software dovrebbe sicuramente pensare a come ridefinire il proprio ruolo con la IA.