Il dibattito sul riconoscimento dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale individuale sta coinvolgendo diversi aspetti della società. Sempre più persone dichiarano di non identificarsi, parzialmente o completamente, con il genere assegnato loro alla nascita e chiedono che la loro identità venga riconosciuta e rispettata nel rapporto con gli altri.

Questa esigenza passa dalla scelta dei pronomi e declinazioni da usare, all’impiego di caratteri come l’asterisco o il simbolo ə (schwa o scevà) al posto delle vocali che declinano verbi e aggettivi, o dall’utilizzo del plurale anche quando ci si riferisce a singole persone.

C’è poi la questione della scelta del titolo professionale: troviamo da un lato la richiesta di utilizzare declinazioni femminili di nomi professionali che per tradizione e scarsa rappresentanza femminile sono sempre stati usati al maschile (sindaca, ministra, arbitra, rettrice…), ma anche una richiesta di segno opposto: alcune donne preferiscono che ci si rivolga loro usando un titolo professionale con concordanza maschile (ingegnere, avvocato, direttore d’orchestra…).

È chiaro che spostare la scelta dei vocaboli da utilizzare da una regola standard e rigidamente codificata nel vecchio campo Sesso: M/F a una determinazione personale complica di parecchio il compito di chi deve progettare interfacce utente, moduli di contatto e copy per messaggi, che includano o meno parti personalizzate. Come dovrebbe quindi comportarsi un sito o un’app quando si rivolge direttamente alla persona utente del servizio?

Per inquadrare il tema, facciamo un breve ripasso per identificare le diverse variabili.

Sesso, identità di genere e orientamento

Fino a poco tempo fa, nella società la classificazione delle persone era legata unicamente al sesso, cioè le caratteristiche fisiche che fanno sì che alla nascita una persona venga identificata come maschio o come femmina, dando poi per scontate una serie di conseguenze sulla vita dell’individuo, dall’abbigliamento al comportamento, alla scelta del partner o della professione.

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Oggi si va affermando il concetto di genere, che non dipende dagli attributi sessuali presenti alla nascita, ma dal modo in cui una persona si identifica. Ci sono quindi persone che, indipendentemente dal sesso biologico, si riconoscono e si identificano come maschi o come femmine.

Vengono quindi chiamate cisgender le persone la cui identità sessuale corrisponde al sesso biologico, e transgender quelle in cui l’identità è diversa (indipendentemente dal fatto che abbiano o meno apportato modifiche al proprio corpo). C’è inoltre una crescente fetta di popolazione, soprattutto tra i più giovani, che si trova stretta anche in questa classificazione e che si definisce non binaria. C’è poi una parte più piccola – ma non trascurabile – di persone che alla nascita presentano attributi sessuali di entrambi di sessi, o ancora di un sesso differente da quello espresso dai cromosomi.

È bene però sottolineare che l’identità di genere non determini automaticamente anche l’orientamento. Possiamo avere persone cisgender e omosessuali, così come le persone transgender possono essere omo oppure etero sessuali (per esempio: una persona nata come uomo, che si identifica come donna, ma che è attratta da altre donne), così come persone – cis o transgender – che sono attratte da più generi (bisessuali), e anche persone che non si sentono attratte sentimentalmente o sessualmente da nessuno (asessuali e aromantici).

Ora, è chiaro quanto un modulo di registrazione con un campo Sesso: M/F, il cui valore è teoricamente esprimibile con un solo bit, sia assolutamente inadeguato a esprimere questa complessità, che ha qualche decina di combinazioni diverse tra identità e orientamento (c’è chi si spinge a classificarne 64).

Campo Genere personalizzabile di Facebook

Per raccogliere il dato dell’identità di genere, Facebook utilizza un campo a risposta multipla e personalizzabile. In aggiunta a ciò, permette di indicare quali pronomi dovrebbe usare per riferirsi alla persona.

Perché prendersi la briga di modificare database e interfacce

Gestire la variabilità delle identità di genere in moduli di contatto, interfacce e testi è senz’altro molto più complesso. Se a questo si aggiunge l’orientamento, ci si potrebbe poi trovare a dover gestire quello che il codice della privacy considera un dato particolare (chiamato anche dato sensibile): le abitudini sessuali.

Perché aziende, designer e sviluppatori dovrebbero investire tempo ed energie in questa attività?

Il primo e più importante motivo è che per molte persone il doversi classificare in un genere in cui non si identificano è motivo di sofferenza e frustrazione, e già questo basterebbe a giustificare un piccolo sforzo. Ultimamente si parla molto di centralità dei clienti e orientamento ai clienti: cerchiamo di metterli il più possibile a proprio agio.

Un altro motivo è che pratiche di marketing e comunicazione che siano basate sul targeting in base al sesso, rischiano di essere totalmente inefficaci, quando non controproducenti. Come reagirà una persona gay o trans a una campagna per San Valentino basata su presupposti sbagliati riguardo all’identità del suo partner? O a pubblicità di prodotti pensati per chi ha organi o funzioni biologiche di cui non dispone? (Pensiamo a parafarmaci,  prodotti per l’igiene, la gravidanza…).

Il terzo motivo è quello di dimostrare che le belle parole su inclusione e rispetto scritte nel bilancio di sostenibilità e nelle nelle pagine “Chi siamo” del sito web aziendale sono prese davvero sul serio. O, se vogliamo vederla al contrario, evitare il rischio che qualcuno evidenzi pubblicamente le contraddizioni dell’azienda.

Avere esempi di moduli di registrazione inclusivi nel proprio portfolio, poi, oggi può dare ad agenzie e designer una marcia in più nelle gare indette da aziende sensibili a questi temi.

Moduli di contatto LGBTQ+ friendly: alcuni consigli

Un articolo molto dettagliato sul tema lo ha scritto la designer Sabrina Fonseca su UX Collective. Vi invitiamo a leggerlo qui per intero (in inglese), osservando anche alcuni esempi di best practice impiegate dalle principali aziende web. Ne riassumiamo di seguito i principali consigli.

1.     Abbiamo davvero bisogno di quel dato?

È davvero utile sapere se l’utente di un servizio sia maschio, femmina, non binario, cis o transgender? Specialmente quando, per conoscere i suoi interessi, esistono tecniche ben più sofisticate delle vecchie distinzioni demografiche nate per stampa, radio e tv? Se la risposta è no, evitiamo di chiedere quel dato.

2.     Se è necessario raccoglierlo, spieghiamone il perché

Se il servizio erogato richiede questa informazione, spieghiamone il motivo. C’è una necessità legale di conoscere il dato? Serve a erogare un servizio migliore e più personalizzato? È necessario per motivazioni mediche? Serve a condurre studi sul tema? La finalità della raccolta dei dati personali e le modalità di trattamento devono sempre essere incluse nell’informativa privacy, ma può valere la pena evidenziarlo anche nel modulo. È bene anche sottolineare se l’informazione sarà mantenuta riservata o se invece verrà mostrata su un profilo pubblico.

3.     Prepariamoci a gestire le complessità

Dichiarare la sensibilità al tema chiedendo informazioni dettagliate sul genere, e poi salutare tutti con un generico “Caro utente” rischia di deludere le aspettative create ed essere controproducente. Se abbiamo raccolto informazioni sul genere, prepariamoci a usarle nel gestire comunicazioni personalizzate. In alternativa, ci si può sforzare di produrre testi che non richiedono di essere declinati. I copywriter sono sempre più preparati sul tema.

Facebook raccoglie separatamente l’informazione sull’orientamento, chiedendo anche di scegliere – come per altri campi – chi potrà vedere quell’informazione (solo io , tutti gli amici, solo alcune persone, chiunque su internet)

Facebook raccoglie separatamente l’informazione sull’orientamento, chiedendo anche di scegliere – come per altri campi – chi potrà vedere quell’informazione (solo io , tutti gli amici, solo alcune persone, chiunque su internet)

4.     Lasciamo aperte le possibilità

Per quanto ci sforziamo, è possibile che qualcuno non si identifichi nelle opzioni proposte, o che non sia a suo agio nell’esprimersi. È bene quindi prevedere sempre un valore “Altro” (magari con la possibilità di inserire un valore personalizzato), e anche la possibilità di non esprimersi sul tema.

5.     Limitiamo la richiesta all’informazione necessaria

Se tutto quel che ci serve sapere è se la persona deve essere chiamata Dottore o Dottoressa, limitiamoci a chiedere quello. Eviteremo così in un sol colpo anche il rischio di fare una supposizione errata con l’avvocata o l’ingegnera che preferiscono essere chiamate avvocato e ingegnere. Stessa cosa per i pronomi da usare (lui, lei, loro).