Secondo un importante gruppo sindacale britannico, un aumento della sorveglianza sul posto di lavoro durante la pandemia di COVID-19 potrebbe portare a una discriminazione diffusa, all’intensificazione del lavoro e a un trattamento iniquo dei lavoratori a meno che non vengano messe in atto salvaguardie normative.

Il Trade Union Congress (TUC), che rappresenta la maggior parte dei sindacati nel Regno Unito, ha pubblicato questa settimana i risultati del sondaggio che evidenziano l’uso delle tecnologie di sorveglianza per monitorare i lavoratori in una varietà di ruoli.

Il sondaggio, che ha intervistato 2.209 lavoratori in Inghilterra e Galles nel dicembre 2021, ha mostrato che il 60% degli intervistati ritiene di essere soggetto a monitoraggio sul posto di lavoro, rispetto al 53% nel 2020. Le tecniche includono il monitoraggio di e-mail e file, webcam dei dipendenti, registrazione dei tasti e rilevamento dei movimenti tramite telecamere a circuito chiuso.

La ricerca ha anche indicato che la sorveglianza dei lavoratori è più prevalente in alcuni settori; i lavoratori dei servizi finanziari sono risultati i più propensi a segnalare il monitoraggio (74%), seguiti dal personale di vendita all’ingrosso e al dettaglio (73%) e dai lavoratori dei servizi pubblici (73%). “La tecnologia di sorveglianza dei lavoratori è decollata durante questa pandemia e ora rischia di andare fuori controllo” ha affermato Frances O’Grady, segretario generale del TUC.

Le segnalazioni di monitoraggio intrusivo dei lavoratori remoti non si limitano solo al Regno Unito. Diverse aziende in tutto il mondo hanno infatti adottato queste tattiche durante la pandemia, dopo che i dipendenti sono stati costretti a lavorare da casa e lontano dal controllo diretto dei superiori. Queste aziende hanno implementato vari strumenti di monitoraggio per controllare l’attività dei lavoratori e garantire che i livelli di produttività fossero invariati al di fuori dell’ufficio, facendo però emergere al tempo stesso preoccupazioni sul benessere del personale.

Nelle recenti linee guida relative al lavoro a distanza, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha recentemente avvertito i datori di lavoro del potenziale danno al personale derivante da un monitoraggio non necessario, esortando i datori di lavoro ad “astenersi dal monitoraggio o dalla sorveglianza eccessivi dei lavoratori, compreso l’uso inappropriato di software che monitorano l’utilizzo del computer o attiva funzionalità video online costanti. Tali misure riducono la fiducia e possono aumentare lo stress per i telelavoratori”.

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Sebbene sia necessario un certo livello di monitoraggio nel rapporto datore di lavoro/dipendente, la disponibilità di nuove tecnologie e il recente boom del lavoro da casa hanno acceso il dibattito su ciò che può essere considerato accettabile.

“Molti settori sono tenuti a svolgere un certo livello di monitoraggio dell’attività dei dipendenti attraverso normative specifiche del settore” ha affermato Angela Ashenden, analista principale presso la società di analisti tecnologici CCS Insight. Pensiamo ad esempio alle organizzazioni di servizi finanziari, dove è necessario garantire che i dati dei clienti siano adeguatamente protetti. “Ma i dipendenti hanno anche diritto alla privacy, in particolare a casa propria; bisogna quindi pensare attentamente a quali dati vengono raccolti e come vengono archiviati e utilizzati dal datore di lavoro”.

La ricerca di CCS Insight nel 2020 ha anche messo in luce come, in alcuni casi, i dipendenti si sentano a proprio agio con un maggiore monitoraggio in determinate circostanze. Ciò include il monitoraggio che migliora l’esperienza tecnologica dei dipendenti e la sicurezza online quando lavorano da casa, ad esempio. Ma è più probabile che i dipendenti “respingano con forza il monitoraggio se questo è focalizzato in modo eccessivo sulla loro produttività o sulla loro salute e benessere personali”, ha affermato Ashenden. “Le aziende che superano il limite in termini di percezione della privacy dei dipendenti rischiano, nel migliore dei casi, di danneggiare la fiducia dei dipendenti o, nel peggiore dei casi, un contenzioso legale”.

Gestione algoritmica?

Le nuove tecnologie di gestione e monitoraggio devono essere regolamentate per proteggere tutti i lavoratori, ha affermato il TUC. Le regole dovrebbero includere l’obbligo che i datori di lavoro si consultino con i sindacati prima di implementare sistemi di monitoraggio o di gestione algoritmica, così come la supervisione umana delle decisioni algoritmiche.

“I datori di lavoro delegano anche le decisioni più serie agli algoritmi, come il reclutamento, le promozioni e talvolta persino licenziamenti”, ha affermato O’Grady. L’indagine TUC ha indicato che la maggior parte dei lavoratori (l’82%) sostiene l’obbligo legale per i datori di lavoro di effettuare delle consultazioni prima di introdurre il monitoraggio, rispetto al 75% nel 2020. Il 72% ha anche convenuto che l’uso della tecnologia per prendere decisioni sui lavoratori potrebbe aumentare il trattamento iniquo senza un’attenta regolamentazione; questa percentuale è aumentata rispetto al 61% di due anni fa.

Ci sono crescenti richieste di regolamentare l’uso delle tecnologie di monitoraggio dei lavoratori e di gestione dell’IA anche a livello internazionale. La Commissione Europea ha recentemente proposto nuove regole che richiederebbero alle aziende che impiegano lavoratori “gig” di fornire una maggiore trasparenza sull’uso della gestione e monitoraggio algoritmici. Negli Stati Uniti, infine, l’Ufficio per la politica scientifica e tecnologica della Casa Bianca ha chiesto una Carta dei diritti dell’IA per regolamentare l’uso della tecnologia sul posto di lavoro e nella società in generale.