Quanto vale la propria privacy? Ma, soprattutto, la privacy si può vendere? Sembra che Meta abbia trovato una risposta a entrambe le domande. Secondo il Wall Street Journal, l’azienda starebbe studiando un piano che potrebbe costringere gli utenti dell’Unione Europea a pagare fino a 13 euro al mese per accedere a versioni di Instagram o Facebook prive di pubblicità.

Chi non intende pagare, e quindi proseguire a usare una versione gratuita, sarà invece costretto ad accettare annunci personalizzati. Ovvero, implicitamente, sarà disposto a concedere l’utilizzo per scopi commerciali di tutti i dati che (volontariamente) fornirà a entrambi i social.

Più in dettaglio, Meta intenderebbe far pagare circa 10 euro al mese per un account Facebook o Instagram cui si accede tramite desktop e circa 6 euro per ogni account aggiuntivo collegato. Sui dispositivi mobili, il prezzo per un singolo account salirebbe a circa 13 euro. Questo perché Meta intenderebbe includere le commissioni applicate dagli app store di Apple e Google.

Facebook è gratuito e lo sarà sempre

A onor del vero, Facebook ha fornito un contributo sostanziale nella definizione del modello che predomina tra le grandi piattaforme su Internet oggi e che vede gli utenti beneficiare di servizi gratuiti proprio perché tali piattaforme raccolgono i loro dati personali per venderli agli inserzionisti. Si tratta di un modello decisamente proficuo: infatti, ha consentito a Meta e agli altri colossi della pubblicità sul Web (Google in testa) di guadagnare decine di miliardi di dollari all’anno negli ultimi due decenni.

Per anni la homepage di Facebook ha dichiarato con orgoglio: Facebook è gratuito e lo sarà sempre. In realtà, nel 2019 Meta ha silenziosamente eliminato lo slogan. E questo, come sostennero molti all’epoca, è stato fatto perché il valore commerciale dei dati inerenti alla privacy degli utenti faceva sì che il sito non fosse veramente gratuito. Ma si è comunque proseguito con una sorta di tacito compromesso.

Uso illegale dei dati sulla privacy degli utenti dal 2018 al 2023

Questo però sino all’inizio del 2023, quando Meta è stata multata per 390 milioni di euro dal Data Privacy Commissioner irlandese, che le ha imposto di non utilizzare la base giuridica “contrattuale” per inviare agli utenti annunci pubblicitari basati sulla loro attività online.

Nel tentativo di riconquistare una posizione in linea con i requisiti normativi in evoluzione nell’Unione Europea, Meta ha successivamente dichiarato di voler chiedere il consenso agli utenti dell’UE prima di consentire alle aziende di effettuare pubblicità mirata. La società ha comunicato alle autorità di regolamentazione europee che spera di introdurre il piano senza pubblicità, che chiama “subscription no ads” (SNA), nei prossimi mesi per gli utenti europei.

NOYB, l’iniziativa paneuropea no profit in ambito legale che ha l’obbiettivo di assicurare il rispetto il GDPR, sostiene però che la decisione di Meta di imporre una tariffa ai suoi social arriva a seguito di una causa avviata dalla stessa NOYP e che ha indotto la Corte di Giustizia Europa a concludere che Meta ha fatto un uso illegale dei dati personali nell’UE almeno dal 2018 al 2023.

Una fondamentale postilla di 8 parole

La sentenza dell’inizio di quest’anno, che ha ritenuto illegale l’approccio di Meta al GDPR dal 2018, è un testo di quasi 20.000 parole. All’interno di questo testo, c’è una postilla di meno di 10 parole che sembra sia stato l’elemento che ha permesso a Meta di aggirare l’ostacolo GDPR imponendo una tariffa per i suoi social. Infatti, secondo quanto riportato sul sito di NOYB, sebbene la sentenza abbia costantemente stabilito che tutti gli approcci di Meta per avere una “base giuridica” per il trattamento ai sensi dell’articolo 6 del GDPR sono illegali, all’interno del paragrafo 150 si afferma che deve esistere un’alternativa agli annunci “se necessario, dietro pagamento di un compenso adeguato”. Sembra, quindi, che Meta si stia basando su queste poche parole della sentenza per introdurre la nuova tassa per gli utenti che non vogliono acconsentire allo sfruttamento dei loro dati personali.

L’avvocato Max Schrems, che è tra i fondatori di NOYP, riguardo il modello Pay for your right che intende introdurre Meta, ha affermato: I diritti fondamentali non possono essere in vendita. Pagheremo anche il diritto di voto o il diritto alla libertà di parola? Ciò significherebbe che solo i ricchi possono godere di questi diritti, in un momento in cui molte persone faticano ad arrivare a fine mese. Introdurre questa idea nell’ambito del diritto alla protezione dei dati è un cambiamento importante. Ci opporremo in tutti i tribunali”.

L’idea sulla privacy che arriva dal giornalismo

L’idea di un modello basato su una tariffa mensile per evitare la pubblicità non è però nuova, soprattutto non è da attribuirsi ai giganti dell’online. Infatti, il primo ad avvalersene è stato il giornale austriaco Der Standard, che offriva agli utenti la possibilità di acconsentire al trattamento dei dati personali per la pubblicità o di pagare un abbonamento di 8,90 euro al mese.

L’idea è stata poi ripresa da Repubblica e altre testate del gruppo GEDI, seguiti da altri editori di quotidiani e riviste. Sembra che le autorità preposte alla protezione della privacy (prima in Austria, poi in Germania e ora anche in Francia) abbiano visto in questo approccio un’opzione per sostenere i siti web giornalistici che stavano soffrendo per la perdita di introiti pubblicitari a favore delle grandi piattaforme Web.

Un aiuto in un momento difficile

Tuttavia, anche Meta ora sta attraversando un periodo complesso. Nel 2022 ha visto diminuire le entrate pubblicitarie per la prima volta da quando è stata quotato in borsa nel 2012. La società ha poi recentemente annunciato che il numero di utenti giornalieri di Facebook ha raggiunto per la prima volta i due miliardi, ma tra l’inflazione che intacca i budget degli inserzionisti e l’agguerrita concorrenza di app come TikTok, questi utenti non portano più i ricavi di un tempo.

L’azienda ha anche risentito delle modifiche normative introdotte da Apple, che limitano la capacità dei social network di raccogliere dati e vendere pubblicità. Inoltre, è anche sotto pressione per aver fatto una grande scommessa sul metaverso, il mondo della realtà virtuale che Zuckerberg ritiene sarà la prossima frontiera online, che al momento non sta dando i risultati sperati.

Così lo scorso anno gli investitori hanno punito Meta, facendo crollare il prezzo delle azioni di ben due terzi in 12 mesi. E lo scorso novembre Meta ha annunciato il licenziamento di 11.000 dipendenti, pari al 13% del personale, la più grande riduzione di personale nella storia dell’azienda.

A fronte di questa situazione, considerato il numero di utenti dei social attuali, imporre una tariffa potrebbe fornire un aiuto economico che non risulta certo superfluo.

In Australia e Nuova Zelanda i social sono già a pagamento

Ricordiamo però che Meta è già ricorsa al pagamento di una tariffa per l’accesso ai suoi social. È successo all’inizio dell’anno in Australia e Nuova Zelanda. La società ha detto che la nuova iniziativa, denominata Meta Verified, serviva a migliorare la sicurezza e ad assicurare la veridicità degli account. Molti, invece, hanno visto nell’applicazione di una tariffa mensile ai nuovi iscritti ai social di 19,99 dollari sui desktop e 24,99 dollari su dispositivi iOS o Android come un test per un progetto destinato ad avere una validità globale. E, forse, il subscription no ads può esserne la riprova, GDPR e Corte di Giustizia Europa permettendo.

Sia come sia, il punto focale rimane sempre il medesimo: la privacy può essere venduta?

(credit immagine: mundissima / Shutterstock.com)