Molti organi di informazione stanno rilanciando un tweet di Nexta TV (un media bielorusso non allineato al governo e diffuso principalmente su Telegram e YouTube) secondo il quale le autorità russe starebbero attuando una separazione totale dell’infrastruttura locale dalla rete Internet, con l’obbligo per tutti i siti di trasferire entro l’11 Marzo tutti gli hosting, le registrazioni dei domini, i DNS e persino i javascript utilizzati nelle pagine web su infrastrutture posizionate nel paese (qui per esempio l’articolo del Corriere).

In realtà, il documento condiviso da Nexta TV è indirizzato ai gestori di siti web e servizi dell’amministrazione pubblica, e ha lo scopo di prepararsi a resistere ad attacchi informatici o sanzioni occidentali che potrebbero portare a una interruzione dei servizi dello stato. Lo riporta il quotidiano economico russo Kommersant (qui la traduzione della pagina), citando una fonte al Ministero per lo Sviluppo Digitale: “Ci stiamo preparando a vari scenari per assicurare che le risorse russe rimangano disponibili ai cittadini. […] Non ci sono piani in Russia per spegnere internet dall’interno”.  

Certo, in tempo di guerra le dichiarazioni ufficiali sono da prendere con le pinze: anche se fossero valide oggi, non è detto che lo siano domani. Di certo, c’è il fatto che aziende, provider e titolari di siti web non erano tra i destinatari e non sono stati raggiunti da questa comunicazione, ed è francamente irrealistico pensare che sarebbe stato possibile fare uno switch off di queste proporzioni da tutti i servizi occidentali usati dai siti web russi in quattro giorni.

La disconnessione “soft” in atto: i media bloccati e in fuga

Se sembra scongiurata una disconnessione infrastrutturale della rete russa dal resto del mondo, sta procedendo in modo più granulare ma a ritmi sostenuti un’altra disconnessione, reciproca, dei contenuti che sulla rete sono distribuiti.

Alcuni media sono sottoposti a blocchi tecnici dal governo russo per essersi rifiutati di soddisfare richieste di censura dei contenuti, come Facebook, Twitter o BBC (che per risposta ha riesumato le trasmissioni radio a onde corte e pubblicato un mirror del suo sito su Tor).

Altre testate stanno lasciando il paese, o rimuovendo le firme dei propri corrispondenti per evitare di incappare nella nuova legge che punisce la pubblicazione di notizie che mettono in cattiva luce il governo con 15 anni di carcere. Per proteggersi, e proteggere i propri utenti dai possibili effetti di questa legge, TikTok ha sospeso il caricamento di nuovi contenuti e le dirette streaming dalla Russia (ed è interessante notare che il comunicato di TikTok, che è proprietà della cinese ByteDance, parli esplicitamente di “guerra devastante in corso in Ucraina”, espressione vietata in Russia dove si parla solo di “iniziativa militare”).

Dal nostro lato della barricata, le testate russe indirizzate al pubblico occidentale come Russia Today o Sputnik, enormi fabbriche di fake news, vengono limitate o bloccate da governi, social network, marketplace di applicazioni.

Questo sta aumentando drasticamente il già presente divario tra i panorami informativi dei due mondi e tra le rispettive percezioni della realtà. Un divario che impoverisce tutti e potrebbe rendere più difficile il confronto e l’individuazione di una via di uscita non militare.

Per i russi diventerà ancor più difficile avere informazioni sulla guerra in atto. Per noi, più difficile percepire i movimenti di opposizione al conflitto che stanno portando agli arresti di migliaia di manifestanti nelle principali città russe.