Secondo diversi investitori e gli analisti, la spirale del conflitto tra Israele e Hamas scoppiato nei giorni scorsi minaccerà la fragile ripresa dell’importantissimo settore tecnologico israeliano, dopo che il rallentamento globale e le divisive riforme giudiziarie del governo Netanyahu hanno visto i finanziamenti calare drasticamente nel corso di quest’anno.

Israele, una delle economie high-tech più innovative al mondo, conta su questo settore per il 14% della sua forza lavoro e per quasi un quinto della sua produzione economica complessiva. Ha superato decenni di turbolenze e si prevede che gli investimenti torneranno a crescere una volta che il conflitto sarà terminato e la raccolta di fondi a livello globale si sarà ripresa.

Prima del conflitto, gli investimenti nelle startup high-tech israeliane erano calati a causa del rallentamento dell’economia globale, del fallimento della Silicon Valley Bank (SVB), che ha eliminato una fonte di finanziamento fondamentale, e della proposta di revisione del sistema giudiziario che minacciava la base del diritto societario e dei diritti di proprietà intellettuale.

Secondo l’IVC Research Center e LeumiTech, le aziende high tech israeliane hanno registrato un calo del 70% nella raccolta di fondi nella prima metà dell’anno, ma il tasso si è stabilizzato a un calo del 14% nel terzo trimestre rispetto al secondo. In totale, le startup israeliane hanno raccolto da inizio anno circa 5 miliardi di dollari, contro i 16 miliardi dello scorso anno e il record di 26 miliardi del 2021. Nel 2019 erano stati raccolti 10,4 miliardi di dollari. Gli investimenti sono stati di diverso tipo ma hanno interessato soprattutto aziende di cybersicurezza e intelligenza artificiale.

Lo scenario di una guerra cyber

In questo scenario drammatico e dagli esiti ancora molto incerti, gruppi di hacktivisti stanno colpendo obiettivi online israeliani, mandando offline e deturpando (il cosiddetto defacing) siti web come il Jerusalem Post. Gli esempi di danni gravi o a lungo termine sono ancora pochi e tra questi si segnala quello di un gruppo di hacker che sostiene Hamas, noto come AnonGhost, che ha colpito un’applicazione israeliana di allarme per le emergenze.

ransomware 2.0

Un altro gruppo, AnonymousSudan, ha dichiarato su Telegram di aver preso di mira attivamente le infrastrutture critiche di Israele, anche se non ha fornito molte prove a sostegno delle sue affermazioni. Più di 100 siti web in Israele sono stati vittime di defacing o sono stati temporaneamente messi offline da attacchi DDoS come quello già citato al Jerusalem Post da parte degli hacker filorussi del collettivo Killnet (già responsabile di numerosi attacchi simili contro infrastrutture ucraine), anche se spesso è difficile determinare l’accuratezza delle affermazioni degli hacktivisti.

La stessa dinamica si è verificata in seguito all’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, che ha visto un esercito volontario di hacker pro-Ucraina rivendicare il merito di numerosi attacchi ai siti web russi e ad altri servizi online. La scorsa settimana, un report di sicurezza di Microsoft riportava che un gruppo di hacker con base a Gaza, noto come Storm-1133, aveva intensificato i propri sforzi di spionaggio informatico nei confronti di aziende israeliane operanti nel settore delle telecomunicazioni, della difesa e dell’energia all’inizio dell’anno. Recentemente, sono stati rilevati tentativi di intrusione potenzialmente legati a Molerats, un altro gruppo che i ricercatori ritengono agisca per Hamas.

Il ruolo controverso dei social

Come se non bastasse questo clima già infuocato anche a livello di cybersicurezza, ecco che X (ex Twitter) è finito nell’occhio del ciclone con l’accusa da parte della Commissione Europea di diffondere contenuti illegali e disinformazione. In una lettera a Elon Musk scritta dal commissario europeo al mercato unico Thierry Breton, si invita Musk a rispondere alle contestazioni che gli sono state mosse, ovvero che dopo l’attacco di Hamas a Israele X non ha risposto tempestivamente e con responsabilità alle segnalazioni sui contenuti illegali come dovrebbe essere fatto quando questo è giustificato dalle circostanze. Destinatario di una lettera analoga sempre di Breton è stato anche Mark Zuckerberg, invitato a limitare la proliferazione di fake news sui social di Meta.

Una responsabilità ancora più incombente dopo l’entrata in vigore del Digital Service Act (DSA) e degli obblighi che la direttiva UE prevede per i gestori delle piattaforme in merito ai contenuti che vengono diffusi. La decisione della Commissione è legata alle immagini estremamente violente sulle azioni condotte dai terroristi di Hamas diffuse attraverso i social network (tra cui X) con l’obiettivo di aumentare l’insicurezza e il disorientamento degli israeliani e dell’opinione pubblica occidentale.