L’esplosione del lavoro da remoto ha avuto un impatto fortemente positivo sul bilancio di Citrix, grazie alle sue soluzioni per il digital workspace le aziende hanno adottato per rispondere all’emergenza sanitaria.

L’attenzione verso queste tematiche è quindi molto forte, e si è manifestata anche nell’acquisizione, per 2,25 miliardi di dollari di Wrike e della sua soluzione software as a service che si integra alla piattaforma Citrix Workspace per semplificare la condivisione di informazioni con spazi organizzati secondo il metodo Kanban per la gestione dei Workflow, afferma il Country Manager Italia di Citrix Fabio Luinetti, che annuncia anche forti investimenti e un importante piano di assunzioni nel settore della cybersecurity, in particolare sulle soluzioni basate sull’approccio zero-trust.

Per meglio capire l’evoluzione “smart” del mondo del laoro, Citrix ha commissionato a OnePoll uno studio su come chi lavora da casa sta modificando abitudini, comportamenti e scelte abitative. Sono stati intervistati tra il 23 novembre e il 1 dicembre 1000 knowledge worker italiani con 12 domande sull’impatto del lavoro da remoto sulle scelte abitative.

Lavoro da remoto: impatto su abitudini e scelte abitative

Il 57% degli intervistati prenderebbe in considerazione l’idea di trasferirsi dalla città alla campagna se potessero continuare a lavorare in modo flessibile.

Fabio Luinetti, Country Manager Italia di Citrix.

Fabio Luinetti, Country Manager Italia di Citrix.

Tra questi, il 76% ritiene di poter svolgere il proprio lavoro ovunque, e la stessa percentuale afferma che potrebbe lavorare in modo più flessibile da casa. Il 73% degli intervistati ritiene che la periferia o la campagna possano offrire un miglior equilibrio tra lavoro e vita privata.

Il vantaggio più grande? Per il 61% è il poter utilizzare in maniera produttiva il tempo normalmente destinato al pendolarismo.

In totale, il 39% degli intervistati sta progettando di trasferirsi o lo ha già fatto in seguito all’introduzione del lavoro da remoto a causa della pandemia. L’11% si trasferirebbe volentieri in un paese più piccolo nella stessa regione, mentre il 10% si sposterebbe in una città simile in altra regione (in molti casi per far ritorno alla regione d’origine). Il 6% invece affronterebbe cambiamenti più radicali, trasferendosi in una città più piccola in uno stato diverso.

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I limiti culturali dei manager e il futuro delle città

“Il fatto che 8 milioni di persone abbiano potuto cominciare a lavorare da remoto in modo molto veloce, dimostra che dal punto di vista tecnico e organizzativo eravamo già pronti a farlo – afferma Francesca Parviero, Digital Learning Experience Designer –  ma dimostra anche che, se facciamo un rapporto 1:10, ci sono 800.000 manager che hanno un tema culturale su cui riflettere, perché non pensavano si potesse fare, ma ora hanno sperimentato che si può”.

Prima del lockdown, il 55% dei lavoratori d’ufficio pensava che vivere in una grande città potesse avere un effetto positivo per la carriera, mentre il 31% riteneva che non facesse differenza. Oggi, solo il 33% pensa che vivere in città abbia un effetto positivo sulla carriera, il 45% ora pensa che non faccia alcuna differenza e, addirittura, il13% ritiene che possa avere un effetto negativo.

“Forse non si andrà più nella palestra del centro che è tanto in voga, ma passeggiando all’aperto e spostandosi in bicicletta se ne ha meno bisogno”, commenta Parviero, che nota anche come un terzo degli intervistati sia disponibile a vedersi ridurre lo stipendio del 15% in cambio della possibilità di lavorare fuori dalla città. “È ovviamente un tema generazionale, che dipende molto dagli impegni familiari”, ma è un dato che fa riflettere.

Così come le aziende stanno riflettendo al significato di questi cambiamenti sulla propria organizzazione e il proprio business, anche le città stanno pensando a nuovi modelli “business model”. “Per poter continuare a funzionare proficuamente, le città devono comprendere come una riduzione dell’impatto delle persone potrà portare a una riduzione di entrate, per esempio da tutte quelle attività che lavorano a contatto con i dipendenti degli uffici (ristorazione, pulizie, sorveglianza…) e trovare nuove fonti di ricavi”, conclude Parviero.