L’ipotesi che anche Poste Italiane, dopo Aruba, Register.it e InfoCert, possa introdurre un canone annuale per l’utilizzo dello SpID segna un punto di svolta nella storia delle identità digitali in Italia. Secondo alcune indiscrezioni, la società starebbe infatti valutando un contributo pari a 5 euro l’anno per ciascun utente, scelta che avrebbe un impatto rilevante se si considera che oltre il 70% delle credenziali attive è gestito tramite PosteID. Su un bacino che si aggira intorno ai 20 milioni di utenze, il gettito potenziale per il gruppo supererebbe i 100 milioni di euro di Ebit aggiuntivi, evidenziando quanto la questione non riguardi soltanto i cittadini ma anche i bilanci delle aziende coinvolte.

Il numero di aziende e piattaforme che ha cominciato da quest’anno a “tassare” lo SpID continua insomma ad allargarsi e ha di fatto inaugurato un modello economico diverso da quello originario, basato sull’idea che la diffusione capillare dell’identità digitale dovesse poggiare su costi nulli per il cittadino.

La giustificazione addotta da questi provider è che l’assenza di finanziamenti pubblici stabili ha reso insostenibile il mantenimento gratuito del servizio. I costi di infrastruttura, aggiornamento dei sistemi di sicurezza e manutenzione operativa sono considerevoli e l’incertezza delle risorse statali ha costretto gli operatori a intraprendere un percorso autonomo. InfoCert, al momento dell’introduzione del canone, ha precisato che l’adesione non sarebbe stata automatica: gli utenti devono rinnovare esplicitamente il servizio, pena la sospensione per sessanta giorni e la successiva disattivazione. La società ha inoltre ricordato di aver garantito per dieci anni lo SpID senza alcun onere per i cittadini, contribuendo alla digitalizzazione del Paese.

Il nodo centrale riguarda proprio il finanziamento pubblico. Le convenzioni tra AgID e i fornitori di identità digitale sono scadute alla fine del 2022 e prorogate provvisoriamente fino ad aprile 2023. Solo a marzo 2025 sono arrivati i fondi previsti dal PNRR, pari a 40 milioni di euro, con un ritardo di oltre due anni rispetto alla scadenza originaria. Questo vuoto temporale ha lasciato i provider in una situazione di incertezza che ha accelerato la scelta di introdurre tariffe. Anche ora che le risorse sono disponibili, gli operatori hanno ribadito l’intenzione di mantenere il modello a pagamento, segnalando che la fase della gratuità si è chiusa in modo definitivo.

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Se la mossa di Poste dovesse concretizzarsi, l’impatto sarebbe radicale. Finora, il mantenimento della gratuità da parte dell’operatore con la quota più ampia di identità digitali attive aveva attenuato le conseguenze delle decisioni dei concorrenti. Una svolta da parte del gruppo guidato da Matteo Del Fante cambierebbe lo scenario, rendendo inevitabile per milioni di cittadini un contributo economico annuale. Si aprirebbe così una fase nuova, in cui il rapporto tra cittadini e servizi digitali pubblici assumerebbe una connotazione diversa, più vicina a un modello di servizio a pagamento che a un diritto garantito senza oneri.

La questione delle convenzioni future con lo Stato aggiunge ulteriori elementi di complessità. Le attuali scadono nell’ottobre 2025 e il governo ha già avviato una revisione che si inserisce in una strategia più ampia. L’esecutivo, infatti, punta soprattutto sulla Carta d’Identità Elettronica (CIE) e sull’IT-Wallet come strumenti principali per il raggiungimento degli obiettivi fissati dal PNRR.

L’obiettivo è che entro giugno 2026 almeno il 70% degli italiani disponga di una forma di identità digitale e i dati mostrano che la CIE, che dal 2023 con l’introduzione dei tre livelli di sicurezza è pienamente sovrapponibile allo SpID, è in forte crescita; dalle 5,5 milioni di attivazioni del maggio 2024, si è infatti passati a 7,3 milioni nello stesso mese del 2025 (complessivamente, il sistema delle identità digitali in Italia conta già oltre 40,5 milioni di credenziali attivate).

La linea indicata dal sottosegretario all’Innovazione Alessio Butti è di superare progressivamente il dualismo tra SpID e CIE, convogliando tutto nell’IT-Wallet. Questo strumento, oltre a ospitare l’identità digitale, integra altri documenti come la patente di guida, la tessera sanitaria e la carta europea della disabilità, offrendo una piattaforma unificata. Secondo Butti, la logica del Wallet è quella di uno Stato che diventa “abilitante”: non più servizi a cui i cittadini devono attivamente accedere, ma diritti che si attivano automaticamente al verificarsi di determinati eventi, con minore burocrazia e maggiore fiducia nella gestione dei dati.

(Immagine in apertura: Shutterstock)