Nella cornice del Forum nazionale delle telecomunicazioni 2025, il presidente di Asstel e amministratore delegato di TIM Pietro Labriola ha lanciato un atto d’accusa verso una politica che da anni non riesce più a vedere il settore delle telecomunicazioni (Tlc) come un’infrastruttura strategica, paragonabile all’energia o ai trasporti.

Secondo Labriola, l’Europa sta progressivamente cedendo all’esterno una parte crescente del valore generato sulle proprie reti, a favore soprattutto delle grandi piattaforme globali. Una dinamica che definisce incoerente con l’obiettivo dichiarato da Bruxelles di costruire sovranità tecnologica e filiere digitali competitive. Se il futuro dell’economia passa inevitabilmente dalla connettività, dalle reti 5G e dalla fibra, allora il modo in cui oggi tali reti vengono regolate e finanziate crea un evidente divario tra ambizioni politiche e realtà industriale.

La fotografia scattata da Asstel è impietosa. Negli ultimi dieci anni, i ricavi del settore Tlc in Europa sono scesi costantemente, mentre il fabbisogno di investimento non solo non è diminuito, ma è aumentato. Situazione ancora più critica per l’Italia, che è il Paese con i prezzi più bassi d’Europa a fronte di consumi energetici simili e di costi operativi più alti. Il costo del capitale, passato dal 7,3 all’8,1% tra il 2019 e il 2023, ha ulteriormente eroso la capacità delle imprese di generare cassa. Il risultato è che gli operatori iniziano a rallentare gli investimenti, pur sapendo che proprio gli investimenti sono la condizione essenziale per evitare di perdere il treno della digitalizzazione.

Dati che si sommano a quelli riportati dal Rapporto sulla filiera delle telecomunicazioni in Italia 2025 del Politecnico di Milano, secondo il quale c’è stato un calo complessivo dei ricavi del settore Tlc del 33% dal 2010 al 2024 pari a 13,9 miliardi di euro scomparsi, mentre nello stesso periodo l’aumento del traffico dati è stato del 2500%.

Il paradosso, sottolinea Labriola, è che il settore viene percepito come ricco, soprattutto perché garantisce entrate fiscali costanti allo Stato (oltre 135 miliardi dal 2007 al 2024), ma nei fatti si trova in una crisi strutturale che incide su margini, competitività e solidità industriale. Il tema delle aste 5G è l’emblema di questo squilibrio visto che l’Italia ha incassato circa 6-7 miliardi per le frequenze 5G, un risultato eccezionale sul piano dei conti pubblici ma ottenuto caricando gli operatori di un debito che ha inevitabilmente limitato la velocità di sviluppo delle reti. Il risultato è che oggi l’Italia ha una delle coperture 5G più basse d’Europa pur avendo pagato le frequenze più care.

big tech 5g

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Il confronto con altri modelli, come quello adottato dal Brasile, rende evidente l’errore strategico. Lì si è preferito spostare il baricentro dalle entrate immediate agli obblighi di copertura e alla sostenibilità industriale, puntando in modo deciso sulle reti 5G stand alone. Il risultato è che il Brasile è diventato un laboratorio globale della nuova generazione di servizi digitali, attirando startup e multinazionali interessate a testare casi d’uso avanzati.

A rendere ancora più fragile l’ecosistema europeo contribuisce la frammentazione del mercato. Mentre negli Stati Uniti operano solo tre grandi player, l’Europa continua a contare oltre 120 operatori, rendendo praticamente impossibile raggiungere economie di scala paragonabili a quelle dei concorrenti globali. Alcuni Paesi stanno già razionalizzando i rispettivi mercati passando da quattro a tre operatori, ma per Asstel è necessario un coordinamento europeo che colleghi il consolidamento agli investimenti infrastrutturali.

In questo contesto, il rapporto con le Big Tech viene definito da Labriola come “quasi parassitario”. Le piattaforme, sostiene, hanno costruito modelli di business ad altissima redditività sfruttando le reti Tlc senza contribuire proporzionalmente ai costi infrastrutturali. Per questo Asstel chiede a Bruxelles un riequilibrio nella catena del valore e la creazione di veri “campioni europei” in connettività, cloud e data center.

La sostenibilità industriale, poi, si intreccia con quella occupazionale. Il settore Tlc continua a mantenere i livelli di occupazione e a investire in formazione (nel 2024 sono stati coinvolti 49.000 lavoratori), ma senza un adeguato aggiornamento delle regole, avverte Labriola, anche le telco italiane potrebbero essere costrette a scelte dolorose, come già avvenuto negli Stati Uniti con Verizon o con gli hyperscaler.

Asstel propone sei leve per rilanciare il comparto. Revisione del sistema di assegnazione delle frequenze 5G abbandonando la logica delle maxi-aste una tantum, semplificazione burocratica, riconoscimento delle Tlc come settore energivoro, riforma dei call center, rafforzamento delle politiche di formazione continua e, infine, politiche industriali che favoriscano una flessibilità del lavoro coerente con la trasformazione digitale. Sullo sfondo, spicca più di tutte l’urgenza di modernizzare le regole, perché “la velocità a cui va il digitale non può essere affrontata con norme nate vent’anni fa”.