Il lento cammino per coprire l’Italia di fibra ottica è già partito da alcuni anni affidandosi in gran parte a soluzioni FTTC (Fiber to the Cabinet), ovvero un mix di cavi in rame e fibra ottica scelto dalle telco per una miglior praticità e soprattutto per spese infrastrutturali più basse. Con l’FTTC infatti il segnale in fibra ottica non arriva direttamente nelle case degli utenti, ma si ferma all’armadio stradale (o alla centrale “rigida”) e, da qui, viene portato nelle case e negli uffici con i tradizionali cavi di rame.

Una tecnologia che già oggi permette velocità di download fino a 200 Mbps come nel caso di Fastweb ma che, per ovvie ragioni, è sempre stata ritenuta inferiore alla vera fibra ottica, ovvero la FTTH (Fiber to the Home). Eppure, come ha dimostrato recentemente Nokia con un test in Gran Bretagna, con la tecnologia XG.fast si potrebbe fornire connettività fino a 5 Gbps proprio su un’infrastruttura FTTC.

Nokia è riuscita a ottenere questo risultato su una distanza di 70 metri tra armadio e abitazione, raggiungendo addirittura i 8 Gbps su 30 metri di distanza. Ne risulta che, con un cospicuo aumento della densità di impianti DSLAM, l’FTTC è in grado di raggiungere velocità estremamente elevate pur con la presenza del rame.

Ciò è possibile perché, rispetto alla frequenza del segnale VDSL2 che si aggira intorno ai 17 MHz, il G.fast parte da 106 MHz (e può essere raddoppiata a 212 MHz) e l’XG.fast sfrutta la fascia tra i 350 MHz e 500 MHz, con la conseguenza di una banda passante più ampia e quindi di migliori prestazioni. Non è un caso che British Telecom abbia puntato proprio su G.Fast per coprire con l’FTTC almeno 10 milioni di fabbricati entro il 2020, con una velocità iniziale di 300 Mbps grazie ad armadi dislocati ogni centinaio di metri.