Ruota tutto attorno al vincolo comunitario il futuro della connettività ultraveloce in Italia.

Dopo che il piano Ring per la diffusione della banda ultra larga sembrava essere stato svilito dal confronto a somma zero tra le posizioni conservative dell’ex monopolista di mercato Telecom Italia e l’atteggiamento neutralista del Governo, nelle ultime ore i moniti della UE in tema di garanzia della libera concorrenza hanno restituito vigore alla spinta innovatrice dell’esecutivo: la rete a banda ultralarga si farà e Telecom non potrà usufruire degli incentivi e dei contributi pubblici previsti per la sua realizzazione, a meno che non scorpori le rete stessa. Una trovata legalitaria per riportare in primo piano la prospettiva di una newco e per orientare Ring decisamente verso la fibra ottica.

Stop al rame dunque, con un piano da 12,4 miliardi di euro da investire entro il 2020 in direzione del fatidico obiettivo del 100% della popolazione connessa a 30 Mbps e del 50% a 100 Mbps.

Forte del sostegno della Commissione di Bruxelles, che non ha mai fatto mistero delle proprie preferenze a favore di una filiera dell’offerta scomposta nelle due parti di rete da una parte e connettività e servizi dall’altra, la mano pubblica intende ora assumere la piena regia delle operazioni.

Stando ai documenti resi noti nel corso dell’ultimo Consiglio dei ministri, infatti, a breve dovremmo assistere alla nascita di Cobul, il Comitato per la diffusione della banda ultralarga che, al proprio interno, assisterà a sua volta all’azione coordinata della Presidenza del Consiglio, del MiSe, di Agid, di Infratel e dell’Agenzia per la Coesione.

Il Governo centrale, in collaborazione con i Comuni, le Regioni e le Province autonome, definirà le linee guida operative e tecniche per la digitalizzazione dei quattro cluster territoriali, da trasmettere poi a Infratel, che prende così il posto dell’ex monopolista come interlocutore diretto per l’attuazione di Ring.

Il MiSe, in sinergia con Unioncamere e con altre associazioni di categoria, si occuperà di stimolare e di strutturare l’aggregazione della domanda, mentre ad Agid spetterà l’implementazione dei progetti concreti, tra cui il piano “La Buona Scuola”, “Salute e Giustizia Digitale”, “Pa e Fatturazione Elettronica” e, a ridosso di Expo 2015, il “Piano Smart Cities”.

Agcom supervisionerà il rispetto delle regole comunitarie, che, tra gli altri, citano esplicitamente i divieti di “definire sistemi di assegnazione di contributi che non garantiscano neutralità tecnologica e una vera apertura alla concorrenza; ipotizzare il controllo integrale da parte di un operatore integrato su tutta la nuova rete sovvenzionata con aiuti pubblici; non garantire ex ante che le reti incentivate possano essere aperte e offerte in condizioni di parità di accesso a tutti gli operatori”.

Sempre ad Agicom andrà anche il compito di verificare periodicamente la velocità di connessione dei cluster e di aggiornare in materia il Governo.

D’altra parte, è prevista, nei commi della legge, la possibilità, per gli operatori wholesale che abbiano contribuito alla realizzazione della nuova infrastruttura, di rifiutarne l’accesso a soggetti terzi, così da proteggere la redditività degli investimenti eseguiti.

Una nota che sa forse di compensazione per la cancellazione dei voucher ai produttori, di cui inizialmente si era parlato e che avrebbero dovuto ammontare a 1,7 miliardi di euro, ma che nella versione definitiva risultano indefiniti nella cifra e relativi genericamente allo switch off dal rame.

Confermati, invece, gli incentivi a sostegno delle famiglie.