In due sentenze molto attese pronunciate ieri, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che Google e Twitter non possono essere ritenuti responsabili ai sensi delle leggi antiterrorismo per aver ospitato contenuti pubblicati da gruppi terroristici. La decisione è stata vista come una vittoria per il settore tecnologico.

Nella causa Twitter, Inc. contro Taamneh, il giudice Clarence Thomas, a nome di una corte unanime, ha dichiarato che i querelanti nella causa (la famiglia di un cittadino giordano morto in un attacco terroristico) non hanno presentato una richiesta di risarcimento per la quale sia possibile ottenere un aiuto. Thomas ha scritto che la legge antiterrorismo in base alla quale i querelanti hanno citato Twitter non prevedeva la responsabilità di Twitter, che aveva semplicemente fornito una piattaforma utilizzata dall’ISIS.

“I querelanti non sono riusciti a sostenere che gli imputati abbiano intenzionalmente fornito un aiuto sostanziale all’attacco o che abbiano partecipato consapevolmente all’attacco, tanto meno che abbiano assistito l’ISIS in modo così pervasivo e sistematico da renderli responsabili di ogni attacco dell’ISIS”, ha scritto Thomas.

La sentenza nel caso di Twitter si è concentrata esclusivamente sulla legge antiterrorismo in questione (il Justice Against Sponsors of Terrorism Act) e non ha coinvolto la Section 230, una legge sulle telecomunicazioni che impedisce la responsabilità contro i fornitori di piattaforme tecnologiche come Facebook e Twitter per i contenuti che ospitano.

La legge non è stata discussa nemmeno per la causa Gonzalez v. Google, nella quale si trattava di stabilire se Google potesse essere ritenuta responsabile per aver ospitato contenuti legati al terrorismo su YouTube. Le big tech hanno avvertito che qualsiasi indebolimento delle protezioni assicurate dalla Section 230 avrebbe sostanzialmente messo fine ai social media, costringendo Twitter, Facebook e altri a chiudere i battenti per paura di essere citati in giudizio per qualsiasi cosa ospitata sulla loro piattaforma, o costringendoli ad abbandonare del tutto la moderazione. Le sentenze escludono, per il momento, la possibilità che la Corte Suprema modifichi l’attuale panorama legale della responsabilità per i contenuti ospitati.