Il metaverso arriverà prima in realtà virtuale, poi in realtà aumentata con i sensori. È logico attendersi una permeabilità tra questi diversi approcci. Se i visori lo permetteranno, nascerà una generazione di strumenti che renderanno il metaverso facile da gestire così come lo è stato WordPress nel mondo del web.

Tutto il mondo si sta chiedendo se sia arrivato il momento d’investire in questa nuova dimensione di internet (ne abbiamo parlato in dettaglio qui). Codemotion, la più grande community mondiale di sviluppatori, propone strade sempre nuove per il successo del talento personale e nelle aziende.

Quest’anno, contemporaneamente alla sua spring conference online ha invitato gli appassionati a un evento dal vivo: Metaverse, demystified, pensato per i dev, ha proposto molto arrosto, se confrontato con i consueti eventi a metà tra il divulgativo e il commerciale.

Alfredo Morresi, Senior Community Manager of Developer Relations di Google, ha coordinato gli spunti di tre tecnici, Erik Urzì, Lorenzo Spinelli e Mike Trizio. Ciascuno di loro ha mostrato il metaverso da un punto di vista diverso: digital twin, web3 e visori.

Per i giovanissimi, il metaverso esiste già

Mentre gli adulti parlano, già oggi tutta una generazione usa il metaverso per comunicare, mentre noi c’interroghiamo su parole quali interoperabilità e persistenza. I consumatori del futuro, insomma, sono già pronti.

Si sente spesso parlare di metaverso come della prossima evoluzione che da Internet ha portato al Web 3. La stessa definizione dei Web 3 ha ora una sua specifica accezione, come se servisse un cambio di nomi, una scelta marketing che comporta un’ulteriore confusione sul mercato.

Gli spunti sono molti: per non perderci, proviamo a tracciare una mappa. Su Internet fu poggiato il Web, le cui promesse furono mantenute dal paradigma Ajax che generò il Web 2. Successivamente varie proposte di evoluzione si proposero con la stessa etichetta di Web 3.0.

Oggi si preferisce usare questo termine, Web 3, per applicazioni distribuite poggiate sulla blockchain. Il metaverso, quindi, sarebbe la quinta ondata, composta di vari servizi tra i quali quelli del Web3 e certamente una buona parte di quelli delle ondate precedenti.

Un unico metaverso non ci sarà, ma i vari mondi comunicheranno tra di loro su vari livelli, uno dei quali è proprio la blockchain, che si propone come ponte tra mondi diversi. Ma quale blockchain, e con quali capacità? “Oggi non scala, ma sono allo studio soluzioni scalabili”, conferma Lorenzo Spinelli, developer in Register.

Blockchain e NFT saranno certamente tra i servizi del futuro. Ma quali altri servizi si faranno strada? Le cose saranno diverse a seconda dell’hardware richiesto agli utenti finali. “Buona parte del successo del metaverso dipende dagli sviluppi dei visori, che oggi non hanno caratteristiche sufficienti”, suggerisce Mike Trizio, CTO di Wideverse. Certo serviranno mondi immersivi e avatar più simili a noi, più definiti, meno pixellosi.

La struttura del metaverso inizia a delinearsi: sotto c’è una pila che parte da sensori e attuatori, in mezzo ci sarà un toolkit di accesso che fornisce l’accesso a un mondo specifico mascherando rete e risorse di esecuzione, e i fornitori di servizio parleranno con i toolkit in basso e con le interfacce utente in alto.

DTaaS, Digital Twin as a service

“Grande successo avranno i servizi di AI per i futuri utenti, ivi compresi quelli delle varie versioni del metaverso. Il punto focale è l’empatia dell’interfaccia, che questa sia un agente conversazionale o un avatar autonomo in sé non è importante”.

Erik Urzì, CTO Questit, tratteggia il possibile futuro di un servizio del metaverso, nel quale un digital twin estrarrebbe competenze e procedure dal comportamento di un avatar per poi renderle disponibili come servizio ad altri avatar. Si tratta quindi di una prospettiva in alto nello stack software, quello appunto dei servizi, nel quale c’è spesso collaborazione: si pensi alla necessità di definire gli oggetti come NFT.

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“Per noi fornitori di servizio, il metaverso è uno o più sdk che mettono a disposizione città virtuali completamente digitali, ideali per l’estrazione di dati per affinare le AI”, continua Urzì.

In Questit puntano molto sulla personalizzazione degli avatar in senso empatico: dato un individuo, il suo avatar deve avere non solo lo stesso corpo, ma anche gli stessi atteggiamenti, la stessa voce e anche gli stessi ragionamenti. In questo modo l’avatar diventa un vero e proprio digital twin che registra empatia e competenze in specifici settori e le replica su richiesta.

Possiamo forse definire questa proposta come DTaaS, digital twin as a service. Per ora è solo il titolo di un articolo, ma arriveranno.

Il metaverso come time machine

L’interfaccia conversazionale aumenta enormemente le proprie capacità ed è un servizio a disposizione sia del metaverso, sia di una qualsiasi forma di realtà aumentata.

Un punto sul quale servirà attenzione è l’ambito spaziale e temporale. “In un negozio virtuale posso chiedere quel paio di pantaloni verdi in alto a destra, ma non posso chiedere quella camicia blu che ieri era in vetrina a 20 euro, perché oggi i negozi virtuali fanno parte di quegli ambiti che non tengono uno storico”. Nel metaverso, insomma, il tempo si registra più facilmente di quanto accada nella realtà aumentata.

La situazione è ancora fluida e non permette di far riferimento a un unico modello. In definitiva, oggi non siamo ancora in grado di spiegare cos’è il metaverso senza frammentarci tra mondi, servizi e interfacce. “Una definizione sufficientemente ampia e semplice”, suggerisce Morresi, “arriverà a posteriori”, quando ci saranno già diverse implementazioni funzionanti. Come spesso succede nell’informatica, non resta che attendere.