Si è conclusa lo scorso mercoledì a Milano l’edizione 2016 di SMXL, il più importante evento dedicato al search marketing. XL perché quest’anno alla tradizionale due giorni di SMX si è aggiunto l’evento eMetrics, incentrato sul crescente settore dell’analisi dei dati di business, big data e visualizzazione.

Quello di Milano è il capitolo italiano della manifestazione, che mantiene però una profonda vocazione internazionale, ricco di keynote di ospiti internazionali di alto livello. Tra questi, l’istrionico Avinash Kaushik, autore di libri, speaker e Digital Marketing Evangelist di Google, che ha condotto il keynote di apertura dell’evento.

Ci si poteva aspettare che tenesse un discorso incentrato su dati, analytics e percentuali di conversione. citando l’immancabile imbuto del “funnel” (paradigma che ha confessato di odiare). Invece è ripartito dalle basi del marketing, dalle relazioni che si instaurano con il cliente e dalle azioni che si compiono verso di esso, proponendo un nuovo framework per il business, incentrato su quattro azioni: See, Think, Do, Care.

  • See: vedere il proprio pubblico
    Obiettivo di questa fase è trovare la più ampia audience qualificata raggiungibile.
  • Think: individuare le intenzioni di acquisto deboli
    Qui si cerca un contatto diretto con le persone vagamente interessate alla propria azienda (iscrizione alla newsletter, creazione di un account, inserimento di un prodotto in una wishlist sull’ecommerce…).
  • Do: convertire le intenzioni in azioni
    È dove avviene la classica “conversione”, che a seconda dell’obiettivo può essere un acquisto, una visita in negozio, l’iscrizione a un servizio, più o meno a pagamento.
  • Care: prendersi cura dei clienti
    La cura del cliente comincia col soddisfarli al primo acquisto, ma deve continuare non solo per farli acquistare di più, ma anche per fidelizzarli e trasformarli in evangelist.

Per Avinash Kaushik, il marketing digitale può fare molto in ciascuna di queste fasi, ma se l’azienda non è in grado di fare queste cose (vedere il pubblico, rilevare le intenzioni, proporre un acquisto e prendersi cura dei clienti), il suo impianto marketing “fa schifo”, e il digitale non potrà fare altro che certificare la misura in cui “fa schifo” (sucks, nelle sue parole).

Leggi anche: 10 tendenze SEO per il 2017 da SMXL

Kaushik è quindi passato a fare alcuni esempi di aziende italiane la cui comunicazione digitale contiene alcuni evidenti e gravi errori: dal non avere un sito mobile nel 2016 ad avere numeri di followers social palesemente gonfiati o comunque non interattivi, al non essere presente nella prima pagina delle ricerche con il proprio prodotto, né come ricerca organica, né a pagamento. Ha anche puntato i riflettori su un’azienda, OVS, che invece a suo dire applica correttamente e in più modalità il framework See, Think, Do, Care.

Abbiamo voluto approfondire la sua analisi sulle aziende italiane in questa intervista.

È stato quasi imbarazzante vedere gli errori macroscopici di alcune grandi aziende Italiane. Perché secondo lei siamo in questa situazione, e come potremmo uscirne?

La cosa importante è realizzare che il comportamento degli utenti è cambiato e continua a cambiare. I consumatori si aspettano cose che le aziende non sospettano nemmeno. Questo vale sopratutto nelle organizzazioni più grandi, e non solo in Italia.

Molte delle strutture marketing nelle aziende si sono costituite attorno a concetti e pratiche vecchi di vent’anni, quando bastava gridare qualcosa in uno spot TV per ottenere successo. Sui social, questo non funziona. Gridi quanto sei bravo in un post, e questo viene ignorato da pubblico, anche se la tua pagina ha milioni di like.

Il problema è solo del marketing?

Per molte grandi aziende italiane, anche aziende al top e con rilevanza internazionale, il digital è ancora un giocattolo da usare in un piccolo laboratorio, tenuto separato dal resto dell’azienda, mentre invece dovrebbe permeare ogni funzione aziendali. Negli Stati Uniti, in UK e in Germania sono un po’ più avanti in questo, ma anche in quei paesi molte aziende si comportano allo stesso modo.

Mettere un vestito digital al marketing non basta più

Quel che è importante capire è che mettere un “vestito digital” al marketing non basta più. Bisogna digitalizzare il business, in ogni aspetto, e non il solo marketing, e soprattutto in tutti gli aspetti della relazione con il cliente, anche dopo l’acquisto.

Per fare un esempio, molti manuali delle auto sono ancora stampati su carta. Negli USA, invece, GMC fornisce per i propri veicoli un’app che da accesso a molti video che spiegano come compiere le operazioni di manutenzione, usare le diverse funzioni dell’auto eccetera. Può essere continuamente aggiornato senza grandi costi e offre all’azienda informazioni su quali siano le funzioni più ricercate, permettendo così di avere una relazione che continua nel tempo.

Cosa dovrebbero fare le aziende per abbracciare la trasformazione digitale del business?

La transizione è comunque ancora in corso, e si può ancora avviare o accelerare, ma non resta molto tempo. Il problema delle aziende più lente è che se in passato ci volevano cinque o sei anni per passare dalla stagnazione alla crisi e al fallimento o ridimensionamento, ora si può morire in meno di due anni. L’editoria quotidiana ha visto un lento declino per più di dieci anni, ma negli ultimi due ha visto un crollo verticale.

I clienti non distinguono più tra online e offline. Vivono in un unico mondo “nonline”

Sono ottimista sul fatto che le aziende, anche quelle consolidate, possano costruire con i propri clienti relazioni di alta qualità, e con maggiore frequenza, ma è importante capire che questo richiede un forte cambiamento di mentalità. Molte aziende vedono le attività online e quelle offline come separate, mentre i loro clienti vivono in un unico mondo “nonline”, in cui questa separazione non esiste più. Se vogliono trovare il cliente in futuro, devono cominciare ad abitare quel mondo.