Sono giorni di polemiche sul disegno di legge sugli orari dei negozi per una “anomalia” che avrebbe, se approvato, una ricaduta che ha del paradossale: siti di e-commerce e distributori automatici dovrebbero infatti chiudere per dodici giorni all’anno. Questa situazione nasce dal fatto che il disegno di legge, esattamente il numero 1629, già approvato dalla Camera e ora al vaglio del Senato, non distingue siti di e-commerce e distributori automatici da altre attività commerciali, che vengono quindi inseriti nella più ampia categoria di attività che devono rispettare il numero minimo di giorni di chiusura annuale.

[quote_right]Il settore dell’eCommerce è un’attività eseguibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7[/quote_right]

Il disegno di legge prevede che alcune attività commerciali siano esentate dall’obbligo di chiusura. Tra queste ci sono bar, cinema, edicole, per esempio, e altre attività, che nello specifico sono regolamentate da un decreto legge che risale al 1998, epoca in cui il commercio elettronico non veniva preso in considerazione.

La risposta di Netcomm

L’anomalia della situazione è stata sottolineata da un articolo apparso ieri su La Stampa, al quale ha fatto eco un immediato commento di Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano. Il Presidente Roberto Liscia ha infatti precisato come sia necessaria una diversa regolamentazione sulle attività di e-commerce, che non possono essere trattate allo stesso modo di altre attività commerciali.

Mi preme sottolineare come il settore dell’eCommerce non può essere soggetto ad una regolamentazione in tal senso, poiché per sua natura è un’attività eseguibile 24 ore su 24 e 7 giorni su 7”, spiega Liscia. “Inoltre, sempre per definizione, il commercio elettronico attiene a transazioni che non si svolgono in un punto di vendita fisico, con conseguente impossibilità di applicazione di tale proposta normativa”.

Oltre a capire come si fa a chiudere un sito “per ferie”, se le norme venissero approvate senza modifiche si porrebbe il serio problema della concorrenza straniera nel settore del commercio digitale, che già in Italia non è decollato come in altri Paesi europei. Secondo alcune stime, infatti, nel 2014 il volume d’affari generato dai negozi virtuali italiani è stato intorno ai 13,3 miliardi di euro, un valore ben lontano dagli 80 miliardi di euro della Gran Bretagna.

Qualora il legislatore orientasse la sua proposta con un intento coercitivo nei confronti dei siti di eCommerce, ciò provocherebbe una forte asimmetria competitiva con i siti che hanno sede legale in altri Paesi e che non sono costretti a sottostare a tali imposizioni“, commenta il Presidente di Netcomm a tal proposito. “Questo andrebbe a penalizzare fortemente le aziende italiane delle realtà eCommerce”.