“Siamo una innovation company, nel senso che non abbiamo un prodotto, siamo dei “devops” a tutti gli effetti: ci affianchiamo ai clienti, capiamo le loro esigenze di business, e li aiutiamo a realizzare la soluzione di software-as-a-service più adeguata a risolverle”. Così Stefano Dindo definisce Zero12, società veneta specializzata sul cloud – e in particolare sulla piattaforme AWS – di cui è fondatore e CEO. Zero12 è nata nel 2012 (da qui il nome), è entrata nel 2019 in Var Group, e qualche mese fa è stata premiata da AWS come “SaaS Partner of the year” in Italia: abbiamo chiesto a Dindo di raccontarci di più su questo premio, sulle attività di Zero12 e sui tipi di progetti cloud più richiesti oggi dalle aziende italiane.

Quali sono le principali aree d’attività di Zero12?

Oggi siamo specializzati su 3 aree. Una è la migrazione dei data center dei clienti nel cloud, in particolare il cloud di AWS. Una è lo sviluppo “sartoriale” di software web o mobile, attraverso metodologie di design sprint, design thinking e agile. Infine la terza anima, la più recente, è la data analysis: abbiamo un piccolo team di data scientist specializzato in machine learning per creare algoritmi di manutenzione predittiva, analisi di immagini video, sistemi di intelligenza artificiale.

Siamo cresciuti in modo organico fino a 18 mesi fa, quando abbiamo accettato l’offerta di Var Group: volevamo farci supportare in un percorso di accelerazione della crescita. Diverse volte ci è capitato che i clienti ci chiedessero di ampliare la collaborazione in aree in cui non avevamo competenze: avevamo bisogno di far parte di una struttura più ampia. In questo momento siamo circa 30 persone, di cui una ventina nella sede di Padova, e un’altra decina a Empoli nella sede di Var Group. Come fatturato siamo intorno ai 3 milioni di euro, che è l’obiettivo di questo anno fiscale, in chiusura a fine aprile.

Come siete arrivati al riconoscimento “SaaS Partner of the year” di AWS?

Per noi è un riconoscimento molto importante, per due motivi. Il primo è perché è nuovo. AWS ha introdotto ufficialmente la “competency” per il SaaS nel 2019, ma a noi era già stata conferita addirittura prima. Il secondo motivo è che la competency SaaS racchiude tutte le anime di Zero12 .

La competency è una specie di certificazione a livello aziendale: nel nostro team abbiamo certificazioni sulla parte architetturale, su devops, networking e data analysis, tutte funzionali alla competency SaaS, che per noi significa sviluppare software-as-a-service per aiutare le aziende manifatturiere a completare i loro prodotti con servizi a supporto di modelli di business nuovi.

Questo fa capire perché il cloud oggi sia il principale abilitatore al cambiamento, non solo dal punto di vista tecnologico, ma anche culturale. Per avviare nuovi modelli di business basati su prodotti e nuovi servizi abilitati dal SaaS, infatti, bisogna agire su tutte le componenti aziendali: sull’infrastruttura, sull’approccio commerciale, sulla comunicazione del valore della nuova offerta, sul nuovo modello di interazione con il cliente, dall’engagement all’assistenza.

Quali tipi di progetti cloud sono più richiesti in Italia in questo momento?

Uno è proprio lo sviluppo di servizi da affiancare ai prodotti, per esempio da parte di aziende che fanno macchine industriali e le integrano con piattaforme digitali per controllare la macchina da remoto, analizzare i consumi energetici, capire attraverso il machine learning i momenti più adatti per fare manutenzione minimizzando gli impatti sul processo produttivo. Questo cambia il modello di business: rende la macchina più efficiente, ne allunga il ciclo di vita, permette di introdurre delle subscription per il servizio, e di creare una relazione più stretta con il cliente.

Un altro tipo di progetti è la classica migrazione al cloud – organizzazioni che magari hanno un data center alla fine del ciclo di vita e spostano il parco applicativo in cloud, perché vogliono guadagnare in flessibilità, efficienza, sicurezza del dato. Un altro ancora sono le soluzioni digitali su misura, chieste da organizzazioni che decidono di raggiungere direttamente il cliente finale, per esempio nel mondo dello sport o della moda, e coinvolgerlo e conoscerlo meglio per poter meglio soddisfare le sue esigenze attraverso delle esperienze digitali.

Può fare qualche esempio di progetti recenti particolarmente innovativi?

Ne cito due. Uno riguarda un importante brand della moda e lusso, che ha lanciato una nuova applicazione mobile di augmented reality immersiva, per cui i clienti possono vedere i prodotti, per esempio occhiali o scarpe, provarli virtualmente ed eventualmente acquistarli. Abbiamo utilizzato le più avanzate tecnologie cloud come le architetture serverless, e per le funzioni try-on dei prodotti abbiamo lavorato su modelli di machine learning in ambienti 3D. Per noi – un team relativamente piccolo – poter sviluppare una soluzione che garantisce un servizio a centinaia di migliaia di utenti contemporanei è stata un’importante opportunità.

L’altro progetto riguarda un’azienda che produce sistemi di allenamento per ciclisti, con cui abbiamo intrapreso un percorso di innovazione da diversi anni. Abbiamo iniziato creando una piattaforma software con cui il ciclista che si allena in casa può capire il suo livello di preparazione, e farsi definire un programma per raggiungere la condizione ottimale. Il software è interfacciato con il sistema e regola automaticamente le difficoltà senza necessità di interventi dell’utente durante l’allenamento. Poi abbiamo introdotto la possibilità di registrare video degli allenamenti all’aperto e metterli a disposizione della community: se durante l’allenamento in casa voglio provare un percorso, il trainer adeguerà la difficoltà delle varie fasi a quelle che mostra il video, come se fossi sulla strada vera. Il software è disponibile con una formula di subscription che facilita il coinvolgimento e la retention dell’utente.

Che impatti ha avuto l’apertura della region italiana di AWS?

È un acceleratore importante, sia culturale che tecnico. Culturale perché consente a molte aziende italiane – soprattutto nella pubblica amministrazione, nei servizi finanziari, e in tutti i settori più regolamentati – di superare il vincolo allo spostamento dei dati all’estero. Tecnico perché i data center entro i confini italiani sono più vicini e consentono tempi di risposta più veloci e latenze più basse. Questi due tipi di benefici generano anche una maggiore disponibilità delle aziende ad ascoltare opportunità e benefici del cloud.

Quali le principali priorità che avete per il 2021?

Faremo una decina di assunzioni, perché prevediamo un aumento della richiesta di servizi sul cloud AWS. Le figure che stiamo cercando si riferiscono a tutte le tre anime dell’azienda, quindi solution architect, devops e machine learning.

Continueremo a lavorare con AWS per favorire l’avvicinamento al cloud delle aziende sia con la classica migrazione che con percorsi di innovazione. È uno sforzo molto importante di formazione e sensibilizzazione, perché la trasformazione digitale non si fa con un click: è un percorso graduale, in varie fasi, basato su un piano a lungo termine preparato con il cliente.

Poi per il 2021 vista la crisi economica dell’anno scorso ci aspettiamo forti investimenti nella trasformazione “smart” delle organizzazioni. Finora il ricorso allo smart working in moltissime aziende è stato imposto dall’emergenza, si sono adottate soluzioni di compromesso, con produttività non ottimali degli smart worker per vari motivi. Molte organizzazioni adesso hanno intenzione di fare il passo successivo: modernizzare l’infrastruttura e l’organizzazione in modo da avere produttività ottimale anche da chi lavora da casa.