Qualche mese fa la Commissione Europea ha pubblicato lo studio “Energy-efficient Cloud Computing Technologies and Policies for an Eco-friendly Cloud Market”, secondo cui i data center in Europa nel 2018 hanno consumato il 2,7% della domanda energetica totale del continente. Un dato che – a causa della continua crescita del cloud computing e dei data center “edge” – aumenterà del 30% entro il 2030, se non si introducono misure di contenimento dei consumi.

Misure che ovviamente chiamano in causa i cloud provider, i quali, anche in vista degli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, sono da tempo all’opera per ridurre i consumi dei loro data center. Un esempio in questo senso è il recente “Climate Neutral Datacentre Pact”, promosso dall’associazione di cloud provider europei CISPE, e sottoscritto da 25 aziende – di cui 7 italiane – e 17 associazioni di settore, che si sono impegnate su 5 obiettivi che saranno monitorati e misurati dalla Commissione Europea due volte l’anno: verifica dell’efficienza energetica con obiettivi misurabili, utilizzo del 100% di energia decarbonizzata, conservazione e riciclo dell’acqua, riutilizzo e riparazione dei server, individuazione di modalità di riciclo del calore.

Il cloud provider francese OVHcloud – che è uno dei promotori di CISPE, e tra i firmatari di questo patto – già lo scorso novembre si è dato obiettivi ambiziosi in ambito ambientale, volti a raggiungere la “carbon neutrality” entro il 2025, e lo “zero netto” (che comprende le attività industriali) entro il 2030. Al Chief Industry Officer François Sterin abbiamo chiesto cosa significano nel dettaglio questi obiettivi, e cosa sta facendo OVHcloud per rispettarli entro le scadenze previste.

OVHcloud ha un approccio peculiare nella costruzione e gestione dei data center: può raccontarlo?

Il modello OVHcloud è unico nel settore dei cloud provider. È un modello industriale verticalmente integrato, che parte dall’assemblaggio dei server: ne attiviamo circa 100mila all’anno, in tutto circa un milione dal 1999, e in questo momento ne sono operativi 400mila, nei 32 data center che abbiamo costruito e gestiamo. Per il raffreddamento dei server utilizziamo una tecnologia detta “watercooling” che ci permette di evitare l’uso di impianti di condizionamento, e di riutilizzare edifici già esistenti. Infatti 25 dei nostri 32 data center sono edifici industriali che abbiamo riconvertito con sforzi e investimenti minimi.

Abbiamo poi un backbone di rete globale con 48 POP e 21 Tbps di connessione internet, che garantscono connettività di alta qualità per 1,6 milioni di utenti finali.

Può spiegare più in dettaglio i 5 obiettivi del Climate Neutral Datacentre Pact?

L’obiettivo del Patto è fare passi avanti rispetto all’obiettivo della neutralità climatica nel 2030. Non riguarda solo il consumo elettrico dei data center, che è il primo ovvio elemento a cui si pensa riguardo ai data center, ma anche il consumo di acqua e dei componenti elettronici, e il riuso del calore prodotto dai data center.

Più precisamente, il primo obiettivo riguarda l’efficienza energetica, e l’indicatore chiave in questo caso è il PUE (Power Usage Effectiveness). Tutti i firmatari del patto hanno convenuto di raggiungere un PUE annuale di 1,3 entro il 2025 per i data center nuovi, mentre quelli già esistenti avranno tempo fino al 2030 per arrivare a questa misura.

Il secondo obiettivo è riguarda l’uso di energia “decarbonizzata”, cioè non ottenuta attraverso combustibili fossili. Il patto impone che entro il 2025 il 75% dell’energia usata provenga da fonti rinnovabili, ed entro il 2030 questa percentuale deve arrivare al 100%.

Il terzo obiettivo impone di dare priorità alla conservazione dell’acqua. Qui l’indicatore chiave è il WUE (Water Usage Effectiveness): i firmatari hanno convenuto di fissare entro il 2022 un target da raggiungere per i nuovi data center entro il 2025, ed entro il 2030 per i data center già esistenti.

Il quarto obiettivo impone la riparazione e riuso dei server: una percentuale obbligata di riutilizzo sarà fissata entro il 2025 ma l’obiettivo è di arrivare al 100% di componenti dei server riciclate.

Infine il quinto obiettivo impone di definire metodologie e tecniche per recuperare il calore prodotto dai data center e riutilizzarlo per impianti e sistemi vicini.

A che punto è OVHcloud nel raggiugimento di questi obiettivi?

Siamo già avanti e possiamo fare da esempio, grazie al nostro modello verticale integrato e alla nostra ossessione per l’efficienza nell’uso delle risorse. Siamo già sotto l’1,3 di PUE per molti dei nostri data center, specialmente i più recenti. Contiamo di utilizzare il 100% di energia rinnovabile entro il 2025, cioè 5 anni prima della scadenza stabilita dal patto. Il consumo di acqua nei nostri data center è davvero basso, perché la ricicliamo completamente. E per quanto riguarda i server, recuperiamo già il 100% degli scarti e proponiamo souzioni basate su server di second o third life.

Come è possibile per un cloud provider come OVHcloud conciliare sostenibilità e profitto?

In OVHcloud siamo convinti che economia ed ecologia possono essere conciliate. L’energia più sostenibile e più economica è quella di cui non si ha bisogno. Grazie all’applicazione in grande scala della nostra tecnologia “watercooling”, abbiamo raggiunto livelli davvero buoni di efficienza energetica, abbattendo sia le nostre bollette elettriche sia il nostro impatto sull’ambiente. E lo stesso vale per il riciclo dei server e degli edifici, che combinano convenienza economica e rispetto per l’ambiente.

Tutto questo è profondamente radicato nel nostro DNA: siamo sempre alla ricerca di opportuntià per rendere ancora più frugale il nostro modello, è un elemento trainante della nostra strategia di innovazione che va anche al di là della sfida della sostenibilità.

Qual è l’importanza del contributo dei partner nella strategia di sostenibilità di OVHcloud?

Molto alta. Crediamo che la sfida della sostenibilità non può essere un impegno di pochi, e dobbiamo coinvolgere i nostri partner per vincerla. Per questo parliamo di un trio: economia, ecologia ed ecosistema. Comincia tutto dai nostri fornitori: noi assembliamo i nostri server, quindi siamo in una situazione ideale per calcolare e riportare le emissioni e gli impatti ambientali dei fornitori dei componenti che usiamo. Oggi sono molto pochi i provider che calcolano questi impatti, e ancora meno sono quelli che li rendono noti e compensano le emissioni indirette collegate alle loro supply chain. Noi lo facciamo, e stiamo lavorando con i fornitori per ridurre e compensare le emissioni, in modo da raggiungere l’impatto “net zero” entro il 2030.

Siamo inoltre convinti che i nostri clienti e utenti sono fondamentali per la sostenibilità. È fondamentale coinvolgere i nostri partner fornendo loro informazioni su come usano le infrastrutture, ed eventualmente aiutandoli a essre più efficienti agendo a livello di software e di sistemi. In questo quadro abbiamo stretto una partnership strategica con Inria, uno dei più importanti istituti di ricerca in Francia, per lavorare su questi aspetti.

Qual è l’importanza dell’Italia nel Climate Neutral Datacenter Pact, e nella strategia di sostenibilità di OVHcloud?

L’Italia è ben rappresentata nel CISPE, abbiamo due aziende italiane nel board – Aruba e Register – e 13 membri italiani dell’associazione, mentre delle 25 aziende che hanno firmato il Patto, 7 sono italiane: Aruba, FlameNetworks, Ilger, Irideos, IT.net, Register, SeeWeb, tutte iscritte all’associazione. Quanto a OVHcloud, la nostra strategia di sostenibilità è tutto fuorché locale: è un impegno che coinvolge tutti i nostri team in ogni parte del mondo.