Ad aggiudicarsi i due blocchi da 20 MHz della cosiddetta banda L dopo un’asta competitiva indetta dallo Stato italiano sono state Telecom Italia e Vodafone, mentre 3 Italia e Wind non hanno fatto nessuna proposta. Dalla vednita di queste frequenze lo Stato ha incassato oltre 460 milioni di dollari, divisi tra i circa 230 milioni sborsati da Telecom per il lotto A (frequenze 1452 – 1472 Mhz) e i rimamenti 230 milioni pagati da Vodafone per il lotto B, con frequenze comprese tra i 1472 e i 1492 Mhz.

Se la cifra incassata dallo Stato può sembrare alta, in realtà il Governo si aspettava di più (circa 600 milioni), ma il fatto che Wind e 3 Italia non abbiano avanzato nessuna offerta (forse perché frenate dalla prossima fusione) ha permesso agli altri due operatori telefonici di aggiudicarsi le frequenze pagando praticamente solo la base d’asta.

Ma essenzialmente cos’ha spinto Telecom Italia e Vodafone a sborsare cifre comunque importanti per questa banda? Se in origine la banda L era stata attribuita ai servizi di radiodiffusione sonora e poi destinata alla fornitura del servizio di radiodiffusione sonoro numerico terrestre T-DAB, già nel 2007 l’allora ministro alle Comunicazioni Paolo Gentiloni aveva proposto di cedere questa porzione di spettro alle telco.

Oggi Telecom e Vodafone la sfrutteranno come “supplemental downlink”, ovvero come canale supplementare tra stazione base e mobile per supportare le reti mobile, con lo scopo di offrire offrire agli utenti mobile maggiore ampiezza di banda in download ed in upload.