La Space Economy continua a salire nelle priorità di governi e aziende private, con investimenti che solo contando le istituzioni superano i 100 miliardi di dollari. Un mercato in grande ascesa in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano, soprattutto nel segmento Osservazione della Terra, grazie alla realizzazione dei satelliti Sentinel per il programma europeo Copernicus, e della futura costellazione di satelliti Iride.

Ma non solo: nel budget di oltre 7 miliardi di euro che l’Unione Europea nel 2022 ha assegnato all’ESA, la sua agenzia spaziale, l’Italia è il secondo contributore, alla pari della Germania, con 680 milioni di euro, alle spalle della sola Francia con 1,18 miliardi.

Questa situazione sta incoraggiando molte aziende in Italia, anche non native del settore spazio, a sviluppare prodotti e soluzioni per questo mercato, mentre sempre più enti pubblici e imprese private – in settori come agricoltura, trasporti, energia, assicurazioni – stanno già usando o valutando l’uso di tecnologie nate per lo spazio o dati provenienti da satelliti nei propri modelli di business.

Il mercato italiano dei servizi di Osservazione della Terra: attori e fatturato

È l’incoraggiante scenario disegnato dal primo report dell’Osservatorio Space Economy del Politecnico di Milano, i cui partner e sponsor danno un’idea dell’interesse che oggi suscita in Italia questo tema: Accenture, ACEA, Altair, Avio, Capgemini, e-GEOS, Enel, Eni, Gruppo Ferrovie dello Stato, PwC, Serco, Snam, Telespazio, Thales Alenia Space Italia, UnipolSai Assicurazioni, Aon, Aon ISB, Data Reply, Edison, Huawei, OHB Italia, Prysmian Group.

Dal report emerge che in Italia ci sono 144 imprese “downstream” (cioè fornitori ICT e system integrator), per lo più PMI, che offrono soluzioni e servizi digitali di Osservazione della Terra basati su tecnologie e dati satellitari, per un fatturato complessivo di circa 200 milioni di euro.

Il fatturato citato proviene per circa due terzi da spese di enti pubblici nazionali e internazionali (Commissione Europea, Ministeri, Protezione Civile), Agenzie Spaziali ed enti pubblici locali, e per il restante terzo da imprese private grandi e piccole. I principali ambiti di applicazione riguardano diversi settori: agricoltura, silvicoltura e pesca, energia, servizi pubblici, edilizia e infrastrutture, finanza, assicurazioni, legale e ambiente.

Quanto ai dati utilizzati per i servizi, per il 55% delle aziende i sensori ottici sono la fonte tecnologica principale, mentre il restante 45% si appoggia prevalentemente su tecnologie SAR (Synthetic Aperture Radar). Oltre la metà (56%) dei dati utilizzati provengono da fonti pubbliche europee, il 14% da fonti pubbliche extraeuropee, mentre nel 12% dei casi si ricorre a dati pubblici italiani e nell’11% a dati privati di grandi multinazionali.

Space Economy: i tre segmenti del mercato

“La Space Economy sta assumendo un ruolo sempre più strategico sia nelle dinamiche di innovazione cross-settoriale tra le imprese, sia nella politica industriale dei Paesi più avanzati, con un crescente risalto anche nel dibattito pubblico – spiegano in un comunicato Paolo Trucco e Franco Bernelli Zazzera, Responsabili Scientifici dell’Osservatorio -. Dopo anni di gestazione, ci sono oggi segnali evidenti che la New Space Economy italiana sia pronta per giocare un ruolo sempre più centrale anche in Europa”.

Uno dei filoni di ricerca dell’Osservatorio ha riguardato i progetti supportati dal programma ESA Business Application, programma con cui l’agenzia spaziale europea finanzia la creazione di servizi commerciali basati su tecnologie spaziali e dati satellitari. I ricercatori del Polimi hanno censito poco più di mille progetti, suddivisi in tre segmenti. Quello dell’Osservazione della Terra è il più numeroso e in crescita esponenziale (421 progetti), seguito dal comparto Navigazione Satellitare (384 applicazioni, soprattutto di trasporti, logistica, assistenza salitaria e locale), e dalla Comunicazione Satellitare (203 applicazioni, di formazione a distanza, informazione e comunicazione).

Un altro filone si è soffermato sulle linee di sviluppo tecnologico del settore spazio, di cui due, spiegano i ricercatori, stanno rivoluzionando completamente questo mercato.

Il primo è l’avvento di sistemi miniaturizzati combinato alla standardizzazione, che ha permesso l’avvio della produzione in serie di alcuni sistemi spaziali, favorendo la diffusione di nano-satelliti di meno di 10 kg, con notevole riduzione di tempo e risorse per la produzione e la messa in orbita. Il secondo è il frazionamento dei sistemi satellitari, cioè la progettazione di sistemi con satelliti dotati di caratteristiche diverse (tempi di ricezione e trasmissione, risoluzione e tipologia di immagini, ecc.), che permette di soddisfare le esigenze molto diversificate dei nuovi utenti del settore spaziale ed è fondamentale per esempio per garantire la continuità del segnale in caso di emergenze.

Startup, i modelli emergenti: integrazione verticale e space-as-a-service

Infine l’Osservatorio ha effettuato anche un’analisi delle startup del comparto spazio, constatando un calo nei finanziamenti – passati in un anno da 14 a 8 miliardi di euro – che però si spiega totalmente con il crollo delle operazioni di SPAC (Special Purpose Acquisition Company) per azioni regolatorie e per le condizioni dell’economia. Al netto delle operazioni di SPAC, gli investimenti in startup della Space Economy negli ultimi anni risultano organicamente stabili.

In termini di filiera, l’upstream (le aziende dell’industria spaziale) attrae più investimenti per la necessità di progettare e sviluppare nuova infrastruttura (60% del totale), mentre il downstream (IT provider e system integrator), che sviluppano servizi a valore aggiunto sui dati spaziali, si attesta a circa 3,2 miliardi di euro (40% del totale).

Il trend più interessante secondo l’Osservatorio è il fatto che l’offerta di servizi a valore aggiunto viene sempre più affiancata dalla progettazione e realizzazione del satellite che genera i dati su cui tali servizi sono basati. Diverse startup ormai prossime alla fase di scaling come ICEYE (round da 120 milioni di euro) e Capella Space (round da 90 milioni) stanno proprio adottando questa logica di integrazione verticale. E per superare le difficoltà di tale scelta (grandi investimenti e tempi lunghi), alcune startup hanno iniziato ad articolarsi come piattaforma di Space-as-a-Service sulla falsariga dell’Everything-as-a-Service tipico dei mercati digitali.