Nel corso dell’assemblea di Mediaset, il Presidente Fedele Confalonieri non ha avuto peli sulla lingua quando ha attaccato frontalmente i grandi del web per i vantaggi fiscali che ottengono sfruttando ogni vantaggio possibile derivante dalla natura multinazionale di queste aziende.

“Google, Facebook e Amazon, per non fare nomi, non pagano tasse in Italia: i paesi europei stanno reagendo, è una sveglia anche per l’Italia e il nostro governo”, ha affermato Confalonieri, augurandosi anche che il governo “faccia seguire alle parole i fatti” rispetto al progetto di tassarli alla fonte”, riferendosi all’ipotesi di una tassazione alla fonte del 25% sui pagamenti fatti a società con base all’estero.

Questa proposta di Scelta Civica è da un po’ sul tavolo del governo Renzi, che ha dichiarato di ritenerla un’opzione praticabile per recuperare gli introiti fiscali che altrimenti, grazie a trasferimenti interni al gruppo e con triangolazioni in paesi dalla fiscalità privilegiata, verrebbero elusi.

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Si calcola che le grandi multinazionali tecnologiche versino all’erario meno di 10 milioni di euro l’anno, a fronte di un fatturato italiano di circa 11 miliardi di euro: una tassazione effettiva inferiore all’1 per mille.

Prosegue Confalonieri: ”Si stima, ma possiamo solo congetturare, che solo Google dreni risorse pubblicitarie per quasi un miliardo e mezzo all’anno. Facebook detiene i dati dei nostri ragazzi e Google è in grado di fornire gli ultimi 4 anni di ricerche effettuate sul suo motore: è una gigantesca schedatura digitale di informazioni su centinaia di milioni di persone, gli orientamenti di consumi di tutti noi da vendere agli investitori pubblicitari”.

Confalonieri sembra mettere insieme diversi elementi, dall’elusione del fisco all’invasione della privacy, ma il vero nocciolo della questione sembra essere un altro: il fatto che Google, in particolare attraverso YouTube, sta catturando budget pubblicitari per advertising video che altrimenti andrebbero dritte nelle casse di Mediaset e delle poche altre emittenti televisive. Il tutto è reso più pesante dal fatto che molte pubblicità vengano erogate su video prodotti e trasmessi da Mediaset e caricati dagli utenti YouTube senza autorizzazione.

Questo aveva fatto aprire a Mediaset un contenzioso con il colosso di Mountain View nel 2008, con la richiesta di un risarcimento da 500 milioni di euro (raddoppiati nel corso del procedimento). Il primo grado di giudizio, giunto a cinque anni di distanza, ha dato ragione a Mediaset, ma nel corso del procedimento si sono evidenziate perplessità sull’effettiva responsabilità di un fornitore di servizi come YouTube rispetto a materiali caricati dai suoi utenti.

Ma per Fedele Confalonieri, la definizione di “fornitore di contenuti” non si adatta a Google. Prosegue infatti il presidente nel corso dell’assemblea: ”Quando il vertice di Google dice che il suo mestiere non è fare l’editore, distorce la realtà e calpesta l’evidenza: la verità è che distribuisca contenuti editoriali fatti da altri, anche da noi, senza accollarsi i costi di produzione ma incamerando i ricavi della pubblicità”.