Apple si conferma l’azienda più innovativa al mondo, seguita da Alphabet (Google) e da Amazon. Subito sotto il podio, si posizionano Microsoft, Tesla (in salita di sei posizioni), Samsung, IBM, Huawei e Sony, con Pfizer che fa il suo ritorno posizionandosi al decimo posto nell’anno dei vaccini Covid19. È questa la top 10 di The Most Innovative Companies, lo studio annuale di Boston Consulting Group sulla capacità di guidare e cavalcare l’innovazione basato sull’interviste a 1.600 dirigenti a livello globale e l’analisi delle prestazioni delle aziende.

Nel pieno della sfida al Covid-19, l’indagine certifica la crescente importanza assegnata dai top manager all’innovazione per aumentare resilienza e vantaggio competitivo delle proprie aziende, anche se solo il 20% delle imprese analizzate oggi è realmente “pronto” all’innovazione e dotato della necessaria capacità sistemica per trasformare le aspirazioni in risultati reali. Di certo, l’innovazione crea valore: un portafoglio di investimento nelle top 50 aziende innovative quotate in borsa dal 2005 ad oggi avrebbe performance annuali mediamente superiori del 3% rispetto all’indice globale (MSCI World) e addirittura del 17% nel solo 2020.

“I CEO stanno aumentando gli sforzi e gli investimenti, riconoscendo gli effetti positivi dell’innovazione sulla resilienza delle proprie aziende e la creazione di valore” ha affermato Luca Gatti, Partner and Associate Director di BCG. “Vediamo però un rischio: le aziende non sono ancora del tutto pronte a innovare. La buona notizia è che la maggior parte di queste può migliorare la propria preparazione con alcuni cambiamenti mirati nella strategia, nel design del modello operativo e nelle capacità organizzative. Ad esempio, guardando agli innovatori di successo, emerge l’importanza di creare collaborazione tra diverse aree aziendali come Ricerca e Sviluppo (R&S) e Sales & Marketing, che insieme permettono di pensare sia in termini di prodotto che di cliente.”

L’impatto del Covid19 ha portato pochi cambiamenti rispetto allo scorso anno nella top 10. Apple, Alphabet, Amazon e Microsoft si confermano infatti ai primi 4 posti, Tesla scala 6 posizioni e restano sostanzialmente stabili gli altri brand. Escono però dalle prime dieci posizioni Facebook, al 13° posto (scesa di 3 posizioni), e Alibaba, al 14° (-7).

Una certa continuità si ritrova anche nella top 50, con 33 aziende già in classifica lo scorso anno, 12 rientrate dopo almeno un anno e solo 5 del tutte nuove (Abbott Laboratories, Comcast, AstraZeneca, Moderna, Mitsubishi). Tra quelle in ascesa si segnalano Siemens (11° posto, +10 posizioni), Oracle (15°, +10), Toyota (21°, +20) e Salesforce (22°, +14). I Paesi più rappresentati sono gli USA con 27 delle aziende più innovative, poi Cina e Germania (entrambe con 5), Giappone (4) e Sud Corea (3).

Le aziende della top 50 tendono ad avere una maggiore diversità etnica e di genere nella leadership rispetto alla media, che suggerisce il ruolo di questi due fattori nel promuovere l’innovazione. Sicuramente immancabili sono l’impegno e la “prontezza” all’innovazione per avere risultati concreti.

apple

Lo dimostra la presenza di Pfizer al 10° posto e Moderna al 42°, che hanno ridotto i tempi e aumentato rapidamente la capacità di produzione per il vaccino Covid19 o quella di Abbott Labs e Bosch (rispettivamente 29° e 30° posto), veloci a sviluppare kit di test e sistemi per Covid19. Ma anche Target e Walmart (18° e 23°), che hanno realizzato investimenti in e-commerce e omnicanalità per gestire il picco della domanda, o aziende industriali come Siemens e GE (11° e 47°), che hanno sperimentato nuovi usi per i dati e tecnologie avanzate come l’AI.

Il sondaggio sui dirigenti globali rileva che per la maggior parte l’esperienza Covid19 ha accresciuto l’importanza dell’innovazione: il 75% (10 punti in più dello scorso anno) la ritiene una delle tre priorità principali delle loro aziende, mentre per un terzo è la numero uno. Oltre il 60% delle aziende globali prevede di aumentare gli investimenti in innovazione e un terzo di queste in modo significativo. E il risultato è comune sia nei settori colpiti dalla crisi (il 58% delle aziende dei viaggi e il turismo e dei trasporti pianificano di aumentare la loro spesa) che in quelli meno colpiti come farmaceutica e software (64%).

Quasi metà delle aziende intervistate (il 49%) si definisce un “innovatore impegnato”, identificando l’innovazione come una delle tre principali priorità strategiche del loro CEO, in cui questa ambizione è sostenuta con proporzionati investimenti. Ma l’impegno e l’investimento da soli non bastano a garantire il successo. Le aziende pronte all’innovazione hanno una probabilità fino a quattro volte superiore rispetto a quelle che non riescono a generare una quota maggiore di vendite da nuovi prodotti, servizi e modelli di business.

L’Innovation-to-impact framework di BCG (che misura la prontezza dei programmi di innovazione delle aziende in dieci fattori) evidenzia come solo il 20% delle aziende sia realmente pronto all’innovazione. Nel 2020 si sono evidenziati importanti progressi, ma con forti divari tra i settori. Un’analisi approfondita rivela lacune nella preparazione anche tra gli innovatori impegnati, evidenziando come molte aziende probabilmente non riusciranno a realizzare le proprie ambizioni. Quasi un terzo delle aziende identifica la mancata collaborazione tra i team di ricerca e sviluppo e quelli di vendita come il principale ostacolo all’innovazione, con risultati coerenti nei diversi settori.

La situazione dell’Italia appare in controluce. L’89% delle aziende intervistate nel nostro paese considera l’innovazione una delle prime tre priorità, in crescita del 24%. E il 50%, in linea con la media globale, si definisce realmente “impegnato” nell’innovare. Ma solo il 43% delle imprese italiane prevede di aumentare la spesa per l’innovazione (contro il 62% a livello globale). E solo il 15% può realmente definirsi pronta. Allineato alla media, il 45% di imprese si considera leader nell’innovazione nel suo settore (sovraperforma le imprese del comparto), contro il 50% a livello globale.

“Alla luce dell’impatto della crisi, può essere comprensibile per le aziende non prevedere aumenti di spese in R&S. Tuttavia, è utile tenere presente che, in una prospettiva di lungo termine, gli investimenti effettuati durante una crisi sono quelli che portano i frutti migliori quando questa sarà passata”, conclude Gatti.