L’impatto dell’emergenza sanitaria sull’economia italiana è certamente durissimo, ma un contributo di ottimismo viene dalle piccole e medie imprese (PMI) che danno un ottimo voto, oltre otto e mezzo su 10, sulla propria capacità di reagire alla crisi e affrontarla. Questo il responso di un’indagine di SAP Italia e Pepe Research su 40 imprese tra 30 e 500 milioni di euro di fatturato, di tutti i principali settori – industria, hi-tech, chimica, logistica, finance, retail – di cui sono stati intervistati i vertici aziendali.

Il 43% riferisce di aver perso business e fatturato durante il lockdown, mentre il restante 57% ha subito pochi o nessun danno. Il 60% è riuscito a continuare a lavorare, totalmente (53%) o parzialmente (7%), mentre il 40% ha chiuso del tutto”, ha spiegato in una conferenza stampa Arianna Della Beffa, ricercatrice di Pepe Research.

Agli intervistati sono state chieste delle parole per definire quello che hanno vissuto nel lockdown, sia come azienda che individualmente. Nel primo caso le parole più citate sono flessibilità e reattività (53%), nel secondo caso crisi, difficoltà e superlavoro (57%).

Il 57% ha dovuto riorganizzarsi: area più impattata l’HR

Le criticità principali sono nate da carenza di infrastrutture (hardware per lo smart working, connettività della zona geografica, connessioni domestiche, sistemi sottodimensionati), deficit culturali (dipendenti inesperti), e complessità della messa in sicurezza rispetto alle regole di distanziamento.

Il 57% ha dovuto riorganizzarsi molto o abbastanza per reagire all’emergenza. “Un aspetto importante è stato la gestione dell’emotività: è stato difficile gestire lo sconforto dei dipendenti ma è anche emersa forte solidarietà e spirito unitario”, spiega Della Beffa. Il lockdown è stato per la maggior parte un’occasione per ripensare le attività a livello organizzativo (consegne, ricevimenti, comunicazione, ecc.) o addirittura il core business (prodotti, servizi).

L’area più interessata dalla riorganizzazione è stata l’HR, la gestione dei dipendenti (77%), a causa soprattutto di cassa integrazione, smart working, turnazioni. Seguono marketing, comunicazione, e supply chain.

L’80% convinto che la pandemia abbia dato la giusta spinta alla digitalizzazione

“Il ruolo della digitalizzazione emerge in modo innegabile: il 77% dice di aver fatto ricorso a soluzioni digitali per far fronte all’emergenza, il 64% di aver accelerato progetti già in corso, e il 18% di aver introdotto metodi e soluzioni non preventivati”. Le tipologie di progetti digitali più diffusi durante il lockdown sono stati piattaforme di collaboration, digital marketing ed ecommerce, smart working, firma digitale, e virtualizzazione di attività prima fatte in presenza.

“In gran parte le aziende sono convinte che la pandemia abbia dato la giusta spinta alla digitalizzazione (80%), e a intraprendere innovazioni che saranno mantenute e sviluppate (69%): la sensazione nettamente prevalente è che quasi tutti i cambiamenti rimarranno anche dopo la fine dell’emergenza”.

A questo punto le priorità aziendali sono di recuperare fatturato, saper rispondere alle nuove necessità del mercato, e mantenere una forte attenzione alla sicurezza dei lavoratori. Ma il bilancio da parte delle PMI è tutto sommato positivo: il 97% è convinto di essere ora attrezzato per affrontare una crisi di questo genere (contro l’82% che lo era anche a marzo), e il voto medio che si attribuiscono nella gestione dell’emergenza è 8,6 su una scala da 1 a 10.

“Coerentemente con i risultati dell’indagine, abbiamo riscontrato una forte domanda di digitalizzazione durante la pandemia, con tre obiettivi: primo aumentare la reattività dell’azienda, la capacità di adattarsi e affrontare situazioni impreviste; secondo mantenere forte focalizzazione su efficienza e profittabilità; terzo rendere più sostenibile il proprio impatto su economia, ambiente e società”, ha commentato Adriano Ceccherini, Direttore Mercato Piccola e Media Impresa di SAP Italia. “Nella prima parte dell’anno la richiesta era di soluzioni puntuali in queste tre aree per far fronte all’emergenza, nella seconda c’è stata più attenzione a collegarle in un quadro più strutturato”.

I casi Pittini e Cellularline

Nella conferenza stampa hanno raccontato la propria esperienza anche due PMI: Gruppo Pittini e Cellularline.

Pittini Micaela Di Giusto

Micaela Di Giusto, Responsabile Gestione e Sviluppo Risorse Umane, Pittini

Gruppo Pittini è una realtà siderurgica friulana con 18 strutture produttive e 1800 dipendenti: “Mi ritrovo molto nei risultati della ricerca, in particolare per l’area HR che anche da noi è stata fortemente impattata – ha spiegato Micaela Di Giusto, responsabile risorse umane del Gruppo -. All’inizio del lockdown la priorità era capire come gestire le persone e far sì che tutto continuasse a funzionare. Tutte le attività HR sono cambiate, a partire dallo smart working. Un anno fa non l’avrei mai pensato, ma è stata un’opportunità. Non abbiamo fatto analisi o preparazioni preliminari. L’IT ha avuto un ruolo fondamentale per far lavorare da casa più di 300 persone da un giorno all’altro. Abbiamo formato i manager per dare loro le basi per gestire i collaboratori a distanza, rassicurarli e mantenerli motivati”.

Sono cambiate anche la formazione (“abbiamo lanciato la nuova piattaforma digitale myOPF”) e la selezione del personale, continua Di Giusto. “Prima di febbraio facevamo forse l’1% di colloqui online, ci tenevamo a farli di presenza per far conoscere la nostra realtà, eliminando i pregiudizi sul mondo siderurgico, oggi molto innovativo. Ora utilizziamo piattaforme di e-recruitment e un nuovo approccio di selezione per trasmettere i nostri valori attraverso lo schermo. In questo periodo abbiamo fatto diverse assunzioni, in un caso senza aver mai visto la persona fisicamente”.

E poi c’è la sfida di valutare i collaboratori a distanza: “Per questo abbiamo avviato il progetto Inside, al cui pilota ha aderito oltre il 70% del personale. Ora stiamo valutando se rendere lo smart working definitivo, anche dopo l’emergenza: le persone ci chiedono di farlo, 1-2 giorni alla settimana”.

Cellularline Massimo Marabese

Massimo Marabese, Group CIO di Cellularline

Cellularline è un gruppo italiano (sede a Reggio Emilia) specializzato in accessori per smartphone e tablet, nata 30 anni fa e ora presente in 60 paesi e quotata in Borsa, ha spiegato Massimo Marabese, Group CIO. Fattura circa 140 milioni di euro con oltre 200 dipendenti.

“Durante la pandemia l’azienda non si è fermata, ha continuato a sviluppare nuovi prodotti, fare acquisizioni, e lanciare nuove iniziative come Revolution, un progetto strategico di riposizionamento del marchio Cellularline. Abbiamo subito implementato lo smart working, che c’era già per la forza commerciale ma è stato esteso a tutti, rafforzato le VPN, e dotato tutti di laptop, dispositivi ufficiali aziendali certificati e protetti. Abbiamo rivisto alcune strategie, tutta quella di marketing è stata riorientata sul canale digitale dato che i negozi erano chiusi, abbiamo lanciato prodotti specifici per questa situazione, supportato i nostri clienti – le insegne – nella loro transizione verso il digitale, con un intensificato lavoro di co-marketing”.