Per la prima volta il mercato dell’AI (Artificial Intelligence o Intelligenza Artificiale) in Italia è stato quantificato: nel 2019 il fatturato da hardware e software di AI prodotti da imprese italiane, e relativi servizi, è stato di 200 milioni di euro. Ripartendo per settori, di questi 200 milioni il 25% è stato investito dal settore finanziario, il 13% dal manifatturiero, un altro 13% dalle utility, e il 12% da quello assicurativo.

Ripartendo invece per area applicativa, il 33% dei 200 milioni è stato investito in soluzioni di Intelligent Data Processing, cioè algoritmi per analizzare ed estrarre informazioni dai dati, il 28% in sistemi di Natural Language Processing e Chatbot/Virtual Assistant, il 18% in sistemi di raccomandazione, e l’11% in sistemi RPA (Robotic Process Automation).

“Eccesso di comunicazione sull’AI”

Sono questi i principali dati del terzo Osservatorio AI del Politecnico di Milano, diffusi pochi giorni fa. Al convegno di presentazione del report, Alessandro Perego, responsabile scientifico degli Osservatori, ha sottolineato la responsabilità del lavoro di analisi del mercato in un contesto di forte enfasi mediatica ed eccesso di comunicazione sull’AI, che danneggia lo sviluppo del mercato, perché distorce la percezione delle reali potenzialità e rischi di queste tecnologie.

“Occorre evidenziare i reali risultati raggiunti e quelli realisticamente raggiungibili, ma anche comunicare correttamente il trade-off tra innovazione da una parte, e complessità e gestione del rischio dell’innovazione dall’altra. Perciò quest’anno abbiamo fatto uno sforzo di ricerca empirica davvero notevole, con un’indagine su oltre 200 aziende utenti italiane, interviste a 55 fornitori di tecnologie AI in Italia, e lo studio di mille progetti a livello internazionale”.

Il valore di 200 milioni per il mercato è solo l’inizio di un percorso, si legge nel report, essendo il potenziale dell’AI ancora largamente inesplorato da parte delle aziende italiane. In effetti oggi solo il 5% di 407 categorie di prodotti o servizi consumer sul mercato in Italia comprende funzionalità di AI (percentuale che sale al 31% per i prodotti hi-tech come smartphone, auto, TV, sistemi audio, fotocamere, piccoli elettrodomestici). Però diversi elementi giocano a favore di una forte accelerazione di questo percorso.

I fattori favorevoli al decollo dell’AI in Italia

Il primo è la consapevolezza delle nostre imprese sull’AI, notevolmente migliorata rispetto al passato. Ben il 90% infatti ha ora un’idea realistica di ciò che può fare l’AI, e cioè replicare specifiche capacità dell’intelligenza umana”, ha detto Alessandro Piva, uno dei condirettori dell’Osservatorio AI mentre solo percentuali residuali hanno ancora idee erronee perché eccessive (il 6% pensa che l’AI possa imitare completamente la mente umana), limitate (il 3% pensa che l’AI coincida con i chatbot, o con le auto a guida autonoma) o distorte (l’1% pensa che l’AI siano i robot con sembianze umane)”.

Il secondo elemento favorevole è che negli ultimi 12 mesi il livello di maturità dei progetti di AI ha fatto un passo avanti: le aziende con sistemi AI già in funzione sono salite dal 12% al 20%, quelle con implementazioni in corso dall’8 all’11%, il 35% ha sperimentazioni o idee progettuali in corso, il 17% lavorerà sull’AI “nel futuro”, e solo il 17% non prevede nessuna iniziativa.

Il terzo fattore favorevole è la pubblicazione, nel luglio scorso, della Strategia Nazionale per l’Intelligenza Artificiale, un’importante iniezione di fiducia per le imprese, perché dimostra l’impegno concreto di Governo e istituzioni su un tema a cui tutte le principali potenze mondiali – USA, Cina e Unione Europea in primis – stanno dando massima priorità. Da questo documento infatti nascerà nei prossimi mesi il Piano Italiano per l’AI, da cui ci si aspettano investimenti pubblici di sviluppo delle tecnologie e applicazioni di AI per circa un miliardo di euro entro il 2025, e di investimenti privati per lo stesso importo.

Il report dell’Osservatorio AI è molto ricco di dati e approfondimenti, ma per ragioni di sintesi qui ci concentreremo su due aspetti dell’AI in Italia: le applicazioni oggi più diffuse, e l’impatto sull’occupazione.

Aree applicative, dai Chatbot alla RPA

Chatbot e Virtual Assistant sono le applicazioni AI più diffuse in Italia (12% dei progetti a regime), soprattutto a fini di assistenza ai clienti (anche nei negozi con i sistemi “shop assistant”), help desk interno, e nell’area HR per la selezione del personale, e la fornitura di informazioni (ferie accumulate, corsi di formazione disponibili, ecc.). Al secondo posto per diffusione ci sono le soluzioni di Intelligent Data Processing (10% di progetti operativi), usate soprattutto a fini di forecasting, classificazione e clustering, e individuazione di pattern e anomalie.

Terzo posto per le applicazioni di Natural Language Processing (8% delle iniziative a regime), con ambiti principali la sentiment analysis su testi e social, l’information extraction a comando vocale, e la text classification. Seguono poi i Recommendation System (7%), con cui abbiamo a che fare quotidianamente – basti pensare ai suggerimenti di Amazon, Netflix o Spotify – e in effetti le applicazioni di cross-selling sono le più gettonate anche tra le imprese italiane, che però usano queste tecnologie anche per e-mail marketing e online advertising.

Infine, relativamente poco diffusi rispetto all’enfasi mediatica, i sistemi di RPA – Robotic Process Automation (5% dei progetti a regime) e quelli che l’Osservatorio definisce “sistemi fisici” (Autonomous Vehicle, Autonomous Robot e Intelligent Object), di cui sono talmente rare le applicazioni a regime in Italia che non sono neanche compresi nel valore del mercato AI quantificato per il 2019: come Piva ha precisato, l’Osservatorio AI approfondirà questo comparto nelle prossime edizioni.

Occupazione e AI, il 96% delle aziende: “Nessun effetto di sostituzione”

Per finire il tema del lavoro. Come sappiamo, da anni c’è un intenso dibattito sui possibili impatti dell’AI sull’occupazione, e i ricercatori dell’Osservatorio AI hanno interpellato le oltre 200 imprese intervistate ricavandone che il 96% di quelle con soluzioni di AI già attive non rileva effetti di sostituzione del lavoro umano da parte delle macchine, solo l’1% nota che l’AI ha eliminato alcuni posti di lavoro, mentre il 3% ha mitigato gli effetti sui lavoratori coinvolti con strumenti di protezione sociale.

Più che sostituire le capacità degli esseri umani, l’AI le sta aumentando: il 48% delle imprese evidenzia che le soluzioni AI adottate non coinvolgono attività svolte dalle persone, il 28% che le attività sostituite permettono ai lavoratori di dedicarsi ad altre a maggior valore aggiunto, e il 24% che sono stati necessari ricollocamenti, anche parziali, dei lavoratori coinvolti.

“Dopo un primo momento in cui si temeva che l’AI avrebbe inciso negativamente sul saldo occupazionale, inizia ad affermarsi l’opinione che non genererà scompensi di rilievo, e che anzi sia necessaria per garantire gli attuali livelli di benessere a fronte dell’invecchiamento della popolazione attiva”, ha detto Giovanni Miragliotta, condirettore dell’Osservatorio AI. “C’è però un rischio di inasprimento delle disuguaglianze sociali, per la forte domanda di competenze specialistiche, e più in generale di squilibrio per la concentrazione del patrimonio informativo nelle mani di pochi soggetti globali: è su questi rischi che dovrebbero concentrarsi le istituzioni, nazionali e internazionali”.