Lo scorso novembre il rapporto di Asstel – l’associazione di categoria delle telco in Confindustria – sullo stato della filiera delle telecomunicazioni in Italia aveva tracciato un quadro piuttosto preoccupante per l’Europa e per il nostro paese in particolare.

Se dallo scenario infatti l’Europa emerge come l’unica regione mondiale con ricavi telco in calo, a causa della frammentazione del mercato, dei livelli di ARPU più bassi, e negli ultimi due anni anche dei forti aumenti dei costi energetici, l’Italia è addirittura il paese con le peggiori performance. Sia nel valore totale del mercato delle telecomunicazioni – che tra il 2010 e il 2021 ha perso 14 miliardi di euro (cioè il 33%) – sia nelle tariffe per i consumatori (-33,3% nello stesso periodo).

Crisi telco, le misure di politica industriale auspicate da Asstel

Tra i motivi di sofferenza delle telco, secondo il rapporto, ci sono elementi che dovrebbero essere positivi e invece finiscono per risultare negativi. Per esempio gli investimenti per creare l’infrastruttura per l’offerta di servizi digitali, di cui beneficiano soprattutto le Big Tech mondiali. Oppure il forte aumento del traffico (nel 2021 +15% per le reti fisse e +28% per il mobile rispetto al 2020), che invece di produrre aumenti delle entrate produce solo costi incrementali, a causa dell’eccesso di concorrenza sulle tariffe.

Il rapporto segnala anche la delicata situazione dell’occupazione, con oltre 31mila posti persi negli ultimi 11 anni nella filiera tlc italiana (-23,4%, in linea con Germania e Francia), di cui 18mila negli operatori tlc. E con un’alta anzianità media aziendale che genera come principali sfide per le direzioni HR del settore lo sviluppo di competenze digitali e la riqualificazione della forza lavoro con attività di upskilling e reskilling.

“E’ necessario favorire e sostenere lo sviluppo della Filiera Tlc attraverso una politica industriale dedicata e di lungo respiro, finalizzando misure già avviate”, aveva commentato in quei giorni Laura di Raimondo, Direttore di Asstel: “Penso a misure strutturali di mitigazione del costo dell’energia, all’IVA ridotta per i servizi digitali, all’adeguamento dei limiti elettromagnetici e all’assegnazione della banda alta 6 GHz. Infine, prevedere una partecipazione delle Big Tech laddove si trattasse di dover effettuare investimenti aggiuntivi a fronte di specifici incrementi di traffico”.

Di Raimondo aveva anche auspicato percorsi formativi permanenti, e supporto pubblico per investimenti pubblici e privati in Ricerca e Sviluppo, formazione, rafforzamento dell’istruzione professionale e STEM, e per il Fondo di Solidarietà Bilaterale TLC, “strumento essenziale per contribuire al riequilibrio della filiera offrendo soluzioni non più emergenziali, ma strutturali nell’ambito dei processi di trasformazione tecnologica e digitale”.

I sindacati: “In Italia il mercato brucia oltre un miliardo l’anno”

Nel settore telco in Italia insomma da anni il quadro è in peggioramento, ma dal rilascio del rapporto Asstel la situazione è precipitata. Da mesi si susseguono le notizie da parte delle telco di progetti di scorporo delle reti proprietarie, e ultimamente anche di esuberi, come abbiamo riportato qui e qui.

Coinvolti in queste vertenze, anche i sindacati hanno chiesto alle istituzioni interventi strutturali e misure di politica industriale. Misure che evidentemente non ci sono state, visto che due giorni fa i sindacati confederali delle telecomunicazioni – SLC-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-UIL – con una nota congiunta hanno annunciato la mobilitazione di settore, parlando di 20mila posti di lavoro diretti a rischio, uno su 6 rispetto al totale degli addetti nel settore tlc in Italia, e di altre migliaia negli appalti.

“È giunto il tempo di contrastare con forza una deriva che rischia di affossare il comparto, avviando un percorso di mobilitazione che interessi tutte le lavoratrici e i lavoratori del settore”, scrivono i sindacati nella nota, che contiene un’ampia analisi delle dinamiche del settore, anche se ovviamente di parte: “Il modello economico assunto ha prodotto, nell’ultimo ventennio, dinamiche completamente sbagliate”.

Il settore delle telecomunicazioni in tutti i paesi tecnologicamente avanzati è uno dei pochi comparti ancora in grado di coniugare occupazione di qualità, scrivono i sindacati, eppure in termini di risultati economici le telco europee mostrano qualche sofferenza, mentre in Italia il mercato “brucia oltre un miliardo di ricavi l’anno, con un lento e inesorabile stillicidio occupazionale, che nell’ultimo decennio ha praticamente dimezzato la forza lavoro dei maggiori gestori italiani”.

“Dividere reti e servizi impoverirà ancor di più il settore”

La risposta più recente dalle principali Telco per gestire gli effetti di un mercato deregolamentato, denunciano i sindacati, è dividere l’industria (le infrastrutture di rete) dai servizi: “Una impostazione miope che impoverirà ancor di più il settore, trasformando aziende leader del comparto TLC a meri rivenditori di servizi, i cui azionisti di riferimento non sono neanche italiani”.

In un contesto di mercato ipercompetitivo, “le telco per poter sostenere questo modello dovranno continuare a rivedere al ribasso la struttura dei costi, generando una conseguente continua riduzione dei perimetri occupazionali”, continua la nota, soffermandosi in particolare su TIM.

La parcellizzazione dell’ex monopolista, scrivono i sindacati, riferendosi al progetto di vendere la rete, non migliorerà la situazione, “anzi il Paese sarà privo di un campione nazionale che dovrebbe stabilizzare il comparto, evitandogli di ridursi a un “emporio” di sole vendite, per altro a prezzi sempre più stracciati”.

“Dalle istituzioni nessun intervento regolatorio o strutturale”

Non va meglio sul fronte dei call center, definiti il comparto del customer in outsourcing, “già storicamente in affanno […]. In assenza di una legge sulla rappresentanza, o di un intervento governativo che stabilisca il contratto di riferimento, ci sarà sempre chi troverà un contratto dal costo inferiore per poter offrire ulteriori ribassi”.

Nello scenario descritto, si legge nel comunicato, “le istituzioni non stanno svolgendo alcun ruolo regolatorio, nessun intervento strutturale che possa dare stabilità al settore rilanciando un asset strategico per il sistema paese e tutelando oltre 120 mila addetti che operano nel mondo delle telecomunicazioni.

“Da mesi va avanti un “surreale” tavolo tecnico presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy, nel quale è completamente assente la voce dei rappresentanti dei lavoratori, e dove si fatica a immaginare di cosa si dibatta”, sostengono SLC-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-UIL, che passano poi in rassegna gli annunci di vendita di infrastrutture di rete e di tagli di personale di TIM, Vodafone, WindTre, British Telecom, Ericsson.

“Un futuro da micro-gestori virtuali con scarsissima occupazione”

Tirando le somme, secondo i sindacati “il combinato disposto di politiche aziendali miopi, legate a scelte finanziarie senza alcuna visione industriale, e la totale assenza delle istituzioni, che hanno consegnato al mercato il ruolo regolatorio, non farà altro che accompagnare il settore a un inesorabile ridimensionamento. Il futuro che si prospetta, in assenza di una netta inversione di tendenza, sarà la creazione di micro-gestori virtuali, con scarsissima occupazione e infrastrutturazione tecnologica azzerata”.

Un futuro che metterebbe a rischio reale oltre 20 mila posti di lavoro diretti nel solo perimetro delle Telco, “senza calcolare gli effetti nell’intero sistema degli appalti del settore, sia per l’impiantistica, la manutenzione, l’installazione delle reti sia fisse che mobili, sia per il settore dell’assistenza clienti”.