Da alcuni anni le big tech della Silicon Valley hanno iniziato a impegnarsi sulla sostenibilità ambientale, e tra le più attive su questo fronte c’è VMware, che nelle ultime settimane ha presentato il suo Global Impact Report – che evidenzia i risultati ottenuti rispetto agli obiettivi di sostenibilità fissati cinque anni fa per il 2020 – e l’Agenda 2030, un insieme di 30 obiettivi da raggiungere entro dieci anni in tre ambiti – Trust, Equity e Sustainability.

Più in dettaglio, Trust riassume l’impegno a rendere le soluzioni digitali sicure rispetto ad attacchi informatici, violazioni della privacy e pratiche aziendali non trasparenti; Equity l’impegno per favorire inclusività, pari opportunità, flessibilità del lavoro ed eliminazione del digital divide; e Sustainability ovviamente l’impegno per abbattere uso di energia, emissioni e impatti ambientali di VMware e dei suoi partner e clienti. “Insieme al nostro ecosistema ridefiniremo cosa significa essere una forza per il bene”, scrive VMware.

Tra gli obiettivi dell’agenda 2030, per fare qualche esempio, ci sono: collaborare con i partner del public cloud per ottenere operations a zero emissioni di carbonio entro il 2030; fornire competenze digitali tecniche a più di 15 milioni di persone attraverso la VMware IT Academy e altre iniziative; assumere una donna per ogni uomo e garantire che il 50% dei manager siano donne o appartenenti a una comunità sottorappresentata; raggiungere un livello netto zero di emissioni di carbonio per le attività e la supply chain e ridurre le emissioni del 50% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2018; e spingere il 75% dei fornitori a ridurre le loro emissioni fissando obiettivi misurabili entro il 2024.

La Foresta VMware a Milano: 500 alberi al Parco Nord

Le strategie di sostenibilità di VMware si traducono ovviamente anche in iniziative nel nostro paese, e di tutto questo VMware Italia ha raccontato in una recente conferenza stampa condotta dal country manager Raffaele Gigantino, e con interventi di Luca Ceriani (Chief Digital Officer del Gruppo Alperia), Giuseppe Di Franco (Group Executive Vice President Atos e CEO Atos Italia), e Leopoldo Freyrie, architetto e urbanista.

“Come azienda hi-tech ci sentiamo in prima linea sull’impegno a ridurre emissioni di carbonio e consumi di energia, utilizzare energie rinnovabili, e contribuire a una crescita sostenibile – ha spiegato Gigantino -. La tecnologia non è né buona né cattiva, dipende da come la si usa, e noi pensiamo che la trasformazione digitale possa aiutare a eliminare il divario digitale e a decarbonizzare il pianeta, e quindi ad avere un mondo migliore”.

Tra i risultati elencati nel Global Impact Report, il country manager italiano ha ricordato che oggi proviene da fonti rinnovabili il 100% dell’energia che alimenta le strutture globali VMware, e che dal 2003 il suo portafoglio prodotti ha aiutato i suoi clienti a evitare oltre 1,2 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2. Inoltre gli oltre 22mila dipendenti VMware hanno supportato più di 10mila organizzazioni no-profit in 97 Paesi, e la VMware IT Academy ha collaborato con oltre 2400 istituti di istruzione in 93 Paesi con oltre 48.000 studenti.

Gigantino ha poi citato un paio di iniziative in Italia: “L’eliminazione dell’uso delle bottiglie di plastica nelle sedi VMware italiane – circa 10mila bottiglie all’anno – e la creazione della Foresta VMware al Parco Nord di Milano, che copre un’area di 2000 mq con 500 piante e alberi, che durante il loro ciclo di vita assorbiranno 16.750 kg di CO2 ogni anno, pari a una volta il giro della terra percorso in un’auto di media cilindrata”.

“Gli stakeholder non sono più solo gli azionisti: sono tutti”

“Atos si è impegnata a diventare “carbon free” entro il 2028”, ha poi spiegato Giuseppe Di Franco di Atos. “Le auto aziendali sono solo elettriche, utilizziamo solo energia rinnovabile, ma soprattutto abbiamo un ruolo importante nell’aiutare le aziende nostre clienti a trasformare digitalmente i loro processi. Crediamo che il ruolo del digitale sia fondamentale per rendere il mondo più sostenibile, a cominciare dalla gestione delle reti energetiche che includono le nuove fonti rinnovabili, o delle smart city. Ma si tratta di sfide troppo complesse per le singole aziende, sarà decisivo la capacità di affrontarle a livello nazionale o addirittura europeo”.

“La pandemia ha fortemente accelerato tendenze che erano già in atto nel fruire le nostre case e città, e la digitalizzazione ha cambiato i concetti di spazio e tempo. Si parla tanto di città in 15 minuti, cioè di avere tutti i servizi entro 15 minuti a piedi, e questo – in un contesto di necessità di riuso e sostenibilità ambientale – richiede un profondo cambiamento negli approcci di progettazione delle case e delle città: bisogna dimenticare la mentalità del ‘900, verde e cultura devono avere i loro spazi”, ha osservato Leopoldo Freyrie, architetto e urbanista.

Infine Luca Ceriani di Alperia, di cui abbiamo raccontato qui il progetto di ottimizzazione dell’infrastruttura tecnologica in funzione degli obiettivi di crescita sostenibile. “Il nostro piano industriale 2020-2024 mette al centro il servizio al cliente, è un cambio di paradigma. La tecnologia digitale ci aiuta a gestire in modo omogeneo tutte le variabili di un business complesso, come il territorio – l’Alto Adige è fatto di montagne e piccoli borghi e villaggi difficilmente raggiungibili, ma le comunità oggi si possono interconnettere con molte reti di informazioni, dati, energia. O come i fattori culturali – in Alto Adige abbiamo culture e lingue diverse – o le risorse, che devono essere sfruttate in modo sostenibile, e rispettando gli interessi di tutti: gli stakeholder oggi non sono più solo gli azionisti, sono tutti”.