Si è tenuta il 3 dicembre al MiCo – Milano Congressi l’edizione milanese del Red Hat Open Source Day, con 1.700 partecipanti registrati che si sommano ai 2.200 della tappa romana del 20 novembre scorso.

Sul palco principale si sono alternati alcuni tra i massimi vertici aziendali, che hanno delineato le strategie di Red Hat nell’attuale panorama dell’IT, approfondendo poi in un incontro con la stampa anche alcuni aspetti riguardanti la recente acquisizione da parte di IBM (la più grande acquisizione software della storia).

Gianni Anguilletti, Vice President della regione mediterranea, ha ricordato i valori fondamentali dell’azienda (libertà, coraggio, impegno, responsabilità, tutti bilanciati) e fatto il punto sull’attuale situazione: l’azienda conta più di 13.800 dipendenti in 100 uffici sparsi in più di 40 paesi, e un parco clienti che include più del 90 percento delle aziende Fortune 500.

In forte crescita anche la filiale italiana, di cui ha parlato Rodolfo Falcone, da poche settimane Country Manager per l’Italia che ha avuto qui l’occasione per presentarsi alla community: la filiale italiana è passata nello scorso anno da 160 a 190 dipendenti, 72 dei quali sono ingegneri e sviluppatori, a ribadire la forte vocazione tecnologica dell’azienda anche nelle sue branche locali.

Werner Knoblich e Paul Cormier di Red Hat.

Werner Knoblich, Senior VP e General Manager EMEA e Paul Cormier, Executive Vice President e President Products and Technologies di Red Hat.

Werner Knoblich, Senior VP and General Manager EMEA e Paul Cormier, Executive Vice President and President Products and Technologies, hanno ripercorso alcuni degli obiettivi che Red Hat si è posta, e che riassumiamo di seguito:

1) Rendere Linux la piattaforma standard per le aziende di classe enterprise

Non c’è molto da dire. Obiettivo raggiunto già da tempo, tanto che anche Microsoft utilizza pesantemente Linux e altre tecnologie open source per la gestione del proprio cloud Azure.

Leggi anche: Red Hat: “L’Open source ha vinto”

2) Affermare il cloud ibrido come il modello di riferimento

Cormier ha paragonato l’attuale segmentazione delle infrastrutture IT nei vari cloud alla situazione dei silos informativi compartimentati che affliggeva i reparti IT una ventina di anni fa, con applicazioni verticali in esecuzione su hardware dedicati e incompatibili l’uno con l’altro. Per Red Hat, la soluzione principe per le aziende è disporre di una infrastruttura di cloud ibrido la più aperta possibile che, attorno al fulcro dell’infrastruttura on-prem possa far ruotare i carichi di lavoro su diversi cloud pubblici. Più facile a dirsi che a farsi, forse, ma in questo la piattaforma OpenShift di Red Hat, il layer di astrazione delle risorse per la gestione dei container, e gli altri strumenti DevOps che permettono la gestione di dati, codice e risorse su infrastrutture distribuite possono senz’altro dare una grossa mano.

red-hat-open-source-day-2019-milano-cormier

3) Estendere il data center all’hybrid cloud

La raccolta di dati sempre più estesa da un lato, e i casi d’uso innovativi permessi da tecnologie abilitanti come il 5G, rendono poco pratico spostare sempre tutti i dati nel cloud per l’elaborazione. Ecco quindi che, come un pendolo che da decenni fa oscillare la parte di elaborazione dal centro alla periferia della rete, parte dell’intelligenza dovrà spostarsi nuovamente dal cloud all’edge.

4) Estendere l’Enterprise Linux e il software open source all’intero universo

Negli anni Novanta, pensare che Linux e l’OSS avrebbero costituito le fondamenta software delle più grandi aziende poteva sembrare un obiettivo irraggiungibile. Quindi, perché non puntare direttamente alle stelle per i prossimi anni?

Cosa è cambiato con l’acquisizione di IBM

Red Hat è un’azienda particolare, che è riuscita a individuare un business model in un settore, l’open source, da cui molti diffidavano sarebbe stato possibile trarre profitto. Invece, dice Knoblich, “pur rilasciando pubblicamente tutto il codice prodotto (l’unica proprietà intellettuale è il nostro logo) – ha inanellato risultati come il raggiungimento degli obiettivi economici per 70 trimestri di fila”. Un record ineguagliato nel settore e che non può dipendere dalla fortuna, ma indica che l’azienda “funziona e fa le cose per bene. IBM ha realizzato che la cultura di neutralità e apertura dell’azienda è un ingrediente fondamentale di questo successo, e non ha intenzione di romperla”.

Potenzialmente, i conflitti di interesse sarebbero numerosi: Red Hat è partner dei principali cloud provider, così come di produttori hardware (Intel su tutti, che compete con i chip Power di IBM). Per questo, dice Gianni Anguilletti, “è fondamentale far capire a tutti i player che esiste tra noi e IBM un muro impenetrabile”.

Detto ciò, la nuova relazione sta già creando frutti in termini di capillare diffusione su scala globale (IBM è presente in più di 170 paesi contro i 40 di Red Hat), e “permetterà a Red Hat anche di essere presenti in progetti di vasta scala a cui probabilmente Red Hat non ha mai potuto accedere”, afferma Rodolfo Falcone, che prosegue “per esempio possiamo accelerare importanti progetti di trasformazione digitale in ambienti legacy”, che storicamente sono territorio di IBM.