Appian: l’AI rende al massimo solo se inquadrata nei processi aziendali
Da due anni nel settore digitale si parla quasi solo di AI, e negli ultimi mesi in particolare di agenti AI, capaci di reagire a determinate situazioni, “ragionare”, e compiere azioni autonomamente.
Ogni vendor del settore ha la sua strategia di agentic AI, ed è normale che Appian, che vende una piattaforma di orchestrazione dei processi e si definisce “process company”, riconduca la sua ai processi. Ma la visione del CEO Matt Calkins, esposta al recente evento Appian Europe a Londra, fornisce comunque diversi spunti originali al dibattito sul tema.
“L’agente AI deve informarsi, collaborare con altri attori, e agire da solo: tutte queste cose le può fare meglio se è inquadrato in un processo”, ha detto Calkins.
“Quando si danno all’AI degli obiettivi generici, sperando che trovi da sola le domande da fare e le azioni da intraprendere, non si ottengono grandi risultati”.
“L’agente AI rende al massimo se è inserito in un processo che indirizza la sua ricerca di informazioni in un data fabric, determina gli interlocutori umani e digitali con cui può collaborare, e predefinisce la gamma di azioni che può intraprendere. Questo dà anche più garanzie di sicurezza e privacy, in un mondo in cui le regolamentazioni dell’AI sono molto frammentarie, a parte l’AI Act europeo che mi piace molto”.
I tre capisaldi degli agenti AI di Appian
Questo inquadramento nei processi, ha detto Calkins, è uno dei tre punti di forza degli agenti AI di Appian. Gli altri sono la Data Fabric e Process HQ,
“La nostra Data Fabric dà una vista completa dei dati aziendali, in qualunque sistema siano, on-premise o cloud. Ci sono due modi per alimentare l’AI: uno è precaricare il modello con tutti i dati che si pensa gli serviranno. Ma è rigido, costoso, e può creare problemi di privacy se l’AI provider è esterno. L’altro è aspettare che la domanda arrivi, raccogliere tutti i dati che servono, e mandarli al modello insieme alla query. Ma bisogna farlo in pochi secondi, e la Data Fabric ce lo permette”.
Quanto a Process HQ, lanciato l’anno scorso, è una sorta di monitor sui processi in tempo reale: “Combina tecnologie di process mining, machine learning e GenAI: mostra come il processo sta funzionando nell’attività quotidiana dell’azienda, e suggerisce correzioni e miglioramenti”.
La ristrutturazione si riflette sul bilancio
I processi insomma definiscono l’attività stessa di un’azienda, e quindi la reputazione e il posizionamento sul mercato, ma sono anche fondamentali anche come “framework” per l’AI. Questo, continua Calkins, spiega i più recenti risultati di Appian, che nel terzo trimestre 2024 ha fatto segnare crescite del 19% delle subscription (123 milioni), e del 12% delle total revenue (154 milioni), con Adjusted EBITDA positivo per quasi 11 milioni.
“Abbiamo alzato la nostra previsione: chiuderemo il 2024 con adjusted Ebitda positivo, in precedenza ci aspettavamo un breakeven”, ha detto Calkins alla earning call con gli analisti.
Un risultato dovuto anche al lavoro di ristrutturazione degli scorsi mesi. “È stato un anno complicato, ci siamo focalizzati molto sull’ottimizzazione dei costi”, ci ha spiegato a Londra Americo Mazzotta, da poche settimane Vice President EMEA Sales di Appian.
“Avevamo fissato l’obiettivo di arrivare a un miliardo di dollari di fatturato entro il 2025, invece quest’anno saranno 613-615 milioni: l’ambizione c’è ancora, ma abbiamo dovuto ricalibrare l’approccio per le dinamiche di business e del mercato, concentrandoci su pochi settori verticali con proposizioni molto specifiche come per esempio l’underwriting per il settore insurance”.
Orchestrazione dei processi, ma anche agility layer
Mazzotta è ingegnere informatico, e prima in Appian era Vice President of Customer Success, l’area servizi professionali e consulenza di Appian: “Non è comune sul mercato trovare responsabili vendite con questo background, ma l’azienda vuole un approccio consulenziale anche alle vendite, vista l’evoluzione del nostro prodotto e del mercato”.
Posizionare una tecnologia come Appian negli ambienti esistenti di un cliente non è semplice, continua il manager: occorre affiancarlo nella definizione dei problemi e indicare come Appian può creare valore.
“L’idea è di proporre la piattaforma per l’orchestrazione dei processi mission critical dei clienti, ma anche come “agility layer”, uno strato che si interfaccia con i sistemi esistenti per fornire una visione completa dei processi, e ottimizzarla utilizzando capacità tecnologiche come Process HQ e Autoscale”.
Autoscale, fino a 6 milioni di processi all’ora
Autoscale è la principale novità della versione 24.4 di Appian presentata proprio a Londra: è una funzione che aggiusta dinamicamente la capacità di esecuzione di processi automatizzati e ad alto volume, come la verifica in tempo reale delle richieste di rimborso, o il monitoraggio continuo delle transazioni, arrivando a 6 milioni di iterazioni del processo all’ora, cioè 10 volte il benchmark precedente di Appian.
Ma tornando all’approccio go-to-market di Appian, “non pretendiamo di proporci come alternativa a SAP o altri sistemi in cui sono implementati i processi dell’azienda”. L’obiettivo, spiega Mazzotta, è ottimizzare e orchestrare quei processi introducendo agilità e automazione “on top”, e lavorando sui dati dell’azienda senza replicarli su database Appian, grazie a Data Fabric.
“Questo è importante da un punto di vista di security, e anche di auditing: il nostro CEO è estremamente convinto dell’approccio “private” all’AI”.
L’approccio commerciale e il rapporto con i partner
Appian ha un modello commerciale misto, con una parte di vendita e implementazione curata direttamente e una attraverso i partner. “Dipende dagli approcci che gli area manager definiscono a livello regionale, in Europa del Sud per esempio la vendita attraverso i partner è il 70-80% del totale, e anche in Italia è molto alta”.
A questo proposito, continua Mazzotta, l’approccio più consulenziale alle vendite intensifica anche i rapporti con i partner: “Spinge a collaborare fin dall’inizio del ciclo di vendita: i partner possono beneficiare non solo della parte di implementazione, ma anche di quella che chiamiamo discovery, cioè l’identificazione dei problemi del cliente e la definizione, insieme al nostro sales team, della soluzione in termini di tecnologie e delivery”.
A oggi in Italia Appian ha circa 50 partner, di cui una ventina attivi, e nella strategia di canale sono stati suddivisi in 3 gruppi – big five, system integrator, e boutique partner – ciascuno con un suo ruolo specifico, per rivolgersi in modo mirato ai mercati verticali selezionati come target: financial services, PA, manufacturing ed energy, farmaceutico, e insurance.
Di questi in particolare KPMG all’Appian Europe di Londra è stata premiata con il “Delivery Award” per diversi progetti tra cui una soluzione per la gestione di progetti e budget del Comune di Milano – che ha raccontato la sua esperienza all’evento – implementata in sei settimane, e la digitalizzazione della compliance normativa per una banca nazionale italiana.
Il caso Poste Italiane
Un altro grande cliente intervenuto all’Appian Europe è Poste Italiane. “Negli ultimi anni stiamo puntando fortemente sulla diversificazione: la più recente nel 2023 è l’entrata nel mercato energy, che dal punto di vista delle operation gestiamo con il BPM di Appian”, spiega Luca Verducci, Head of Operations Governance & Transformation Poste Italiane. “La prima tecnologia a cui pensiamo per la gestione dei processi quando attiviamo nuovi business è Appian”.
Poste, continua Verducci, ha fissato obiettivi di cost discipline che nelle operation sono ottenibili solo automatizzando i processi. “D’altra parte il 30% dei nostri clienti oggi usa il web senza mettere piede nell’ufficio postale. Il nostro back office è diventato front office, abbiamo dovuto abituare le nostre persone a lavorare a video, per esempio per attivare lo SPID: la tecnologia ci aiuta molto”.
Altro esempio la gestione delle successioni, passata da una durata media di 30 giorni nel 2018 a 8 giorni, impiegando il 30% in meno di personale. “È uno dei primi processi su cui abbiamo testato Appian, perché le successioni hanno ricadute su molti prodotti e servizi: c’era l’opportunità di sviluppare componenti riutilizzabili in altri processi”.
“Vedremo sempre più servizi in cui il backoffice gestisce solo le eccezioni, il resto lo fa il cliente da solo”, sottolinea Verducci. “Negli uffici postali resteranno i servizi consulenziali per aiutare i clienti su scelte di investimento, previdenziali, assicurative”.
Infine l’AI: “Stiamo sperimentando l’AI privata di Appian come early adopter su alcuni processi, con l’AI che propone l’azione e l’operatore autorizza o no. Un esempio sono i disconoscimenti degli acquisti oline. Le transazioni in digitale stanno aumentando vertiginosamente, e quindi anche i disconoscimenti: qui l’automazione totale del processo sarà molto utile anche su grande scala, anche perché Banca d’Italia impone di rimborsare i disconoscimenti in 24 ore”.