L’emergenza Covid-19 è stata forse il fattore definitivo che ha convinto le imprese italiane a investire nel Cloud, ma un impulso importante in questo senso verrà anche dalla recente apertura della region Milano – con almeno tre data center situati in Italia – da parte di AWS – Amazon Web Services, il leader mondiale del mercato Cloud. Dopo la recente intervista con Carlo Giorgi, Country Manager in Italia di AWS, oggi approfondiamo il tema del Cloud in Italia con Luca Giuratrabocchetta, Partner di Deloitte.

Può dare qualche dato sulla practice AWS di Deloitte, in particolare in Italia?

Insieme a SAP e Salesforce, il Cloud è uno dei tre imperativi strategici di Deloitte Consulting, di cui faccio parte. Il team cloud nel mondo conta circa 5000 professionisti, di cui circa 250 in Italia, dove è cresciuto molto negli ultimi 3 anni e oggi comprende circa 70 certificazioni AWS, con obiettivo di arrivare a 200 entro il 2021. In più, tra i 150 specialisti di cybersecurity di Deloitte in Italia molti hanno certificazioni AWS, perché cloud e sicurezza spessissimo convivono nei progetti dei nostri clienti. AWS per Deloitte non è un’alleanza qualunque: a livello mondiale ci aspettiamo di superare il miliardo di fatturato proveniente da progetti basati su AWS. Oggi abbiamo 12 AWS Competencies, le certificazioni che AWS dà ai partner che hanno dimostrato comprovate competenze tecniche e successi presso i clienti in specifiche aree di soluzioni o settori verticali, e vogliamo arrivare a 20, diventando il partner che ne ha di più a livello mondiale.

Quali sono i tipi di certificazioni AWS più diffusi in Deloitte?

A parte le certificazioni di base – associate e professional – che comunque non sono semplici, gli ambiti di certificazione su cui stiamo investendo molto, e su cui c’è molta domanda, sono tre in particolare: il mondo dati, analytics e AI, il mondo IoT, e il mondo security.

Nei progetti sui clienti lavorate anche con i servizi professionali di AWS?

Si, l’Italia è una delle country più avanzate su questo aspetto. Per esempio c’è un grande progetto in corso in una delle più importanti aziende manifatturiere italiane, in cui stiamo integrando servizi professionali di AWS. Li integriamo spesso anche nelle risposte alle gare. Non perché non abbiamo certe competenze, ma perché i servizi AWS sono un acceleratore molto importante: aiutano i clienti, e anche noi come consulenti dei clienti, a fare le cose più velocemente, e anche con una sorta di “marchio di best practice” da parte del vendor stesso.

Quali tipi di metodologie formalizzate avete per i progetti su AWS?

Ne abbiamo diverse, ciascuna applicabile a una certa tipologia di progetto. Se il progetto è definire la “Cloud strategy” dell’azienda – parliamo di un cliente che non è ancora in cloud – lo aiutiamo con una metodologia Deloitte certificata a capire come andarci, definendo il nuovo modello operativo in cloud, il business case per prendere le decisioni, e la “readiness” del portafoglio applicativo del cliente rispetto al passaggio nel cloud, con una metodologia che è la stessa che usano i servizi professionali di Amazon. Se parliamo invece di migrazione, abbiamo una nostra metodologia di roadmap, che parte dalle situazioni più semplici e arriva alla migrazione dell’intera azienda, con procedure estremamente strutturate. E poi c’è un altro grande ambito di progetti cloud, il Cloud Native Development, e anche qui abbiamo un’ampia serie di metodologie.

Quali sono i tipi di progetti su piattaforma AWS più richiesti dai clienti italiani?

Ne cito tre che discutiamo con clienti praticamente tutti i giorni. Uno riguarda la costruzione di un modello di “enterprise data platform” che renda disponibile all’azienda il valore dei suoi dati. Per esempio in ambito manifatturiero questo significa creare nel cloud di AWS un unico repository di tutti i dati – da quelli che provengono dal singolo macchinario tramite la sensoristica IoT, fino al sistema CRM basato su Salesforce – e poterci applicare una serie di analytics in grado di estrarre valore dai dati. Per esempio un cliente con cui stiamo facendo questo progetto non sapeva cosa stava vendendo, in quali parti del mondo, e non sapeva se il prezzo era giusto. Tutto ciò perché i dati erano in diversi silos: li abbiamo messi tutti insieme, e questo è stato possibile con costi sostenibili solo grazie al cloud. Con altre tecnologie il progetto sarebbe costato cento volte tanto e sarebbe durato 10 anni, senza la garanzia alla fine di ottenere grande valore dai dati.

Un secondo tipo di progetto è lo sviluppo di applicazioni, dalle mobile app a soluzioni per supportare interi nuovi modelli di business, come quelli che cominciamo a vedere nel bancario, nelle telco, nelle utilities. Un tipico esempio riguarda i nuovi modi di interagire con il cliente utilizzando call center in cloud supportati dall’intelligenza artificiale come Amazon Connect, che recentemente abbiamo implementato in una grande utility del Nord Italia.

Il terzo riguarda la migrazione in cloud per migliorare l’efficienza, e quindi risparmiare costi di infrastruttura, ma anche per diventare più veloci nello sviluppo e disponibili alle richieste del business, tutte cose che ora le aziende italiane stanno cominciando a capire.

L’integrazione delle applicazioni cloud native nel sistema informativo esistente è ancora un problema?

Molto meno rispetto al passato. C’è un’evoluzione verso un mondo API-driven, un mondo aperto dove l’integrazione fa parte di qualsiasi progetto di trasformazione, mentre prima si cominciava dallo sviluppo dell’applicazione e solo dopo si pensava a integrarla con l’esistente. Oggi ci sono tecnologie potentissime di AWS, e anche di altri player sul mercato. Una delle ultime sacche di resistenza è il mondo delle aziende a forte componente mainframe, ma anche lì qualcosa comincia a muoversi con metodologie per fare l’offloading delle applicazioni mainframe, o per farle parlare con altri ambienti. D’altra parte tra 5 anni non parleremo più di on-premise o hybrid: l’infrastruttura erogante sarà considerata un dato di fatto, la differenza la faranno i servizi disponibili on top, e in uno scenario simile non sarà accettabile che un pezzo di azienda non sia integrato.

Quale impatto avrà sul mercato cloud italiano l’apertura della regione italiana di AWS?

È uno dei due elementi, insieme al Covid-19, che ha indotto le aziende ad accelerare fortemente le loro roadmap verso il cloud. Per alcuni settori questa mossa di AWS ha eliminato gli ultimi ostacoli di regolamentazione, penso per esempio al settore pubblico e al bancario, ma anche alle telco o ai manifatturieri che lavorano su commesse militari. L’apertura della region italiana è un riconoscimento da parte di AWS dell’importanza del nostro mercato e sarà una grande spinta per la digitalizzazione del paese.

Lei è stato anche country manager di AWS in Italia: conoscere dall’interno AWS e la sua cultura la sta aiutando?

Ho lavorato anche in Google anni fa: sono nel mondo del cloud da una decina d’anni, e queste esperienze sono tra i principali motivi per cui sono in Deloitte, che sta accelerando drasticamente i suoi investimenti nel cloud, e ha necessità di contaminazione, cioè di inserire professionisti provenienti dai principali operatori mondiali del mercato. Tre elementi della cultura AWS secondo me sono particolarmente utili in ambito di consulenza: la customer obsession, la mania per il dettaglio, e la velocità.

Quali impatti ha avuto l’emergenza Covid-19 sugli investimenti IT delle aziende italiane?

Vedo tre comportamenti molto diversi, che peraltro stanno cambiando rispetto a qualche settimana fa. Uno è il panico, che c’è ancora, e in certi casi è comprensibile. In alcuni settori ci sono aziende che sono state colpite da tracolli del fatturato dell’80%, e che hanno “chiuso i rubinetti”, fermando tutti i progetti per non licenziare le persone. Stanno resistendo e aspettano il momento giusto per ripartire. Un secondo gruppo di aziende sta approfittando di questa situazione inedita per accelerare le trasformazioni che in vent’anni non avevano mai avuto la forza o l’urgenza di fare. Parlo di cambiare il modo di lavorare delle persone, gli strumenti, il modo di interagire con i clienti, e in qualche caso di entrare in nuovi mercati, o avviare nuovi modelli di business. Per esempio l’ecommerce per molti di quelli che hanno grandi reti di punti vendita fisici, e che prima del Covid non avevano il coraggio di metterli in concorrenza con il canale online. Questo secondo gruppo non ha ridotto gli investimenti, li ha semplicemente riposizionati cambiando le priorità.

E poi ci sono quelli che sono stati colpiti poco, per esempio banche e assicurazioni, che stanno valutando se è il momento di investire oggi nel business del domani, senza la fretta e le pressioni dei primi due. In generale non vedo crisi di liquidità, ma una grandissima attenzione alla selezione degli investimenti.

Per una media azienda interessata a un progetto cloud AWS ha senso rivolgersi a Deloitte?

Assolutamente sì, Deloitte non ha soglie di accessibilità. È chiaro che possiamo essere meno di aiuto rispetto a player locali o verticali per aziende che fatturano 10-20 milioni, ma per il resto il nostro mercato si suddivide tra medie e grandi. In molti settori, per esempio il manifatturiero o il retail, l’avanguardia nell’adozione delle tecnologie cloud più avanzate è costituita da medie aziende.

Su cosa state puntando per sviluppare ulteriormente il business AWS in Italia?

Fondamentalmente su quattro cose. Primo: aumentare fortemente persone certificate e competenze. In questo momento la cosa più importante per differenziarsi è portare qualità ai clienti, e nel mondo cloud non serve il manager che fa il PM, serve lo specialista che capisce cosa vuole il cliente e lo consiglia, lo aiuta a fare una migrazione o un’ottimizzazione.

Secondo: investire in asset, cioè in qualcosa che rafforza le sinergie tra competenze e tecnologie AWS. Abbiamo già degli asset – alcuni sviluppati insieme ad Amazon – che usiamo a livello globale. Cito per esempio Smart Factory Fabric, un template per la fabbrica intelligente, costruito e co-sviluppato con AWS, e TrueVoice per il centralino intelligente.

Terzo: migliorare ancora la capacità di attrarre talenti sul mercato. Far crescere il team, essere sempre più in grado di rispondere alle richieste dei clienti, portare a casa più referenze: il business è una conseguenza di tutto ciò. Quarto: sviluppare ulteriormente la focalizzazione sul mondo dei servizi finanziari, cioè banche e assicurazioni.