Siamo nell’era delle subscription, l’era degli abbonamenti e delle entrate ricorrenti, e nel mercato IT in particolare la crescente incertezza economica degli ultimi due anni ha dato un’ulteriore spinta a questi nuovi modelli di business e commerciali, che già avevano iniziato ad affermarsi prima per il crescente successo del cloud computing.

Praticamente tutti i software vendor e i grandi hardware vendor – Cisco, Dell, Lenovo, per citarne alcuni – hanno annunciato programmi commerciali incentrati sulle entrate ricorrenti. Ma pochi possono dire di avere un ecosistema di canale già completamente pronto per l’era delle subscription. Jay McBain, Chief Analyst Global Channels di Canalys, ha scritto un lungo articolo per spiegare come realizzare l’obiettivo, di cui riprendiamo alcuni concetti rimandando alla fonte originale per la trattazione completa.

Ricompensare il “partner point of value”

Per oltre 40 anni i programmi di canale sono stati progettati per premiare il momento della firma del contratto di vendita. Ma questo, scrive McBain, crea a volte una distorsione tra chi investe molto nel marketing e nella cura del cliente, e chi materialmente raccoglie l’ordine.

Il tipico ciclo di vendita oggi è articolato tra molte fasi, ed è fondamentale riuscire a premiare quello che McBain chiama il “partner point of value”, cioè il momento in cui il cliente si convince a comprare. Magari grazie a un buon white paper, a una case history o una sessione tecnica durante un evento, o al suggerimento di un consulente. E magari mesi prima del vero e proprio ordine.

I programmi di canale nell’era delle subscription, sottolinea McBain, devono poter misurare il valore di questi “assist” a prescindere dal momento in cui si concretizza la transazione.

È un cambiamento che richiede skill, processi, programmi e metodi di valutazione profondamente nuovi. Ma che d’altra parte riconosce la realtà dei fatti, perché negli ecosistemi di canale ci sono sempre più partner “non transazionali”.

Si tratta di partner non interessati a vendere, ma spesso protagonisti dell’assist decisivo per concludere la vendita (transaction-assist channel), oppure per convincere il cliente a rinnovare periodicamente il contratto di subscription (influence/retention channel). Sono i due nuovi pilastri di quello che McBain chiama modello “tri-furcated” di canale, citando per esempio Microsoft, che recluta circa 400 partner “non transazionali” al giorno, e definisce “partner assisted” il 96% del suo business.

La fine della struttura di canale “azienda nell’azienda”

I segnali della transizione iniziano già a vedersi, sottolinea McBain: Microsoft, AWS, Google, IBM e altri hanno istituito la carica di “ecosystem leader” al posto di “top channel leader” o equivalenti. Non sono gli stessi manager di prima a cui viene cambiato il titolo: sono sempre manager nuovi. Su LinkedIn al momento ci sono oltre 11mila persone con la parola “ecosystem” nel job title: un numero che aumenta di 2000 persone ogni trimestre.

Le strutture di gestione del canale nei vendor, osserva l’analista, sono sempre state delle “organizzazioni nell’organizzazione”, con i propri team di vendita, marketing, amministrazione, finance, eccetera. Oggi invece il nuovo “ecosystem chief” deve gestire sei tipi di partner diversi (tecnologici, strategici, business, transazionali, transaction-assist, retention) e non può permettersi di isolarsi rispetto al resto dell’azienda. Deve invece integrare i suoi specialisti di canale nelle varie funzioni aziendali: marketing, vendite, prodotti, customer success.

Approccio multi-partner per conquistare il buyer dipartimentale

Idealmente ciascuna delle sei tipologie di partner dovrebbe avere un programma dedicato, anche se un singolo partner può rientrare in più di uno, o anche tutti e sei.

McBain indica Salesforce come esempio di vendor che ha quantificato dettagliatamente il valore di tutti i tipi di partnership, dimostrando che l’ecosistema può incassare fino a 6 dollari per ogni dollaro incassato dal vendor, e cita HubSpot, Google, Microsoft e AWS per iniziative simili (un altro esempio è SAP, ndr). Rispetto al modello tradizionale del reselling, in cui ai partner va circa il 30% del deal, qui si può arrivare al 200% o al 300%, con margini del 75%, sottolinea l’analista.

L’era dei contratti hardware o software da milioni di euro è tramontata: nell’era delle subscription la best practice è “entrare” in una nuova azienda cliente con un progetto pilota a livello di singola funzione o dipartimento, e poi espandersi successivamente. E conquistare il buyer dipartimentale, lo “shadow IT buyer”, richiede un approccio multi-partner per ogni cliente.

Trovare, ingaggiare e gestire i sei tipi di partner richiede anche un nuovo modello di comunicazione verso i partner, meno “top down” e più concentrato su community e co-marketing. Per ogni tipologia di partner, il vendor deve capire di quali community fanno parte i partner, quali sono le loro fonti di informazione, quali sono gli “influencer” che indirizzano le loro scelte.

Per gestire il canale ci vogliono software dedicati

Le organizzazioni di gestione del canale sono sempre state fortemente basate sulle relazioni e sul lavoro manuale. Oggi però i nuovi modelli subscription based richiedono approcci diversi a tutti i livelli della gestione del canale: strategia, comunicazione, recruitment, onboarding, formazione, tech enablement, certificazioni, competenze, incentivi, loyalty, co-marketing, co-selling, engagement.

Per questo automatizzare e supportare con appositi software almeno alcune attività è diventato un passaggio obbligato. E di conseguenza il settore del software per la gestione del canale si sta velocemente espandendo. Canalys ha censito 223 fornitori software specializzati che offrono 11 categorie di soluzioni.

Nel nuovo modello basato su ecosistemi e subscription, continua McBain, saranno svantaggiati i vendor che nella gestione del canale hanno accessi problematici a dati incompleti, processi manuali, rapporti con i partner basati solo su interazioni di persona, e programmi gestiti con fogli elettronici.

L’era dei partner program basati su punteggi

Un esempio emblematico dei partner program che verranno è quello di Microsoft, che nei mesi scorsi ha fatto due annunci fondamentali per i partner: la New Commerce Experience, che promuove i modelli subscription based, e il Microsoft Cloud Partner Program (MCPP, abbiamo parlato qui dell’introduzione in Italia), che rimpiazza i l trentennale Microsoft Partner Network (MPN) e la sua tradizionale struttura a livelli Gold/Silver/Bronze con un algoritmo a punteggio, il Partner Capability Score.

Il sistema di punteggi ai partner basato su algoritmi secondo McBain è fondamentale per promuovere nel programma di canale obiettivi diversi da quello classico – il fatturato – e per cambiarli dinamicamente nel tempo. “È interessante notare che Microsoft, almeno nella prima versione del programma, dia un valore più alto al retention channel rispetto ai canali influence e transactional, ma eventualmente, se avesse esigenza di spingere per esempio la quota di mercato nel cloud, potrebbe aumentare temporaneamente il peso dell’influence e ridurre quello della retention”.

Per fare entrare gli operatori IT nell’era delle subscription, conclude McBain, i programmi di canale, e i leader di canale, sono decisivi. “È vero che fatturato, profitti e customer satisfaction rimangono metriche fondamentali, ma basta guardare i criteri con cui gli investitori valutano le aziende oggi per capire che le capacità di attirare l’attenzione di potenziali abbonati, di farli abbonare, e di mantenerli nel tempo, sono le nuove regole del business”.