Una storia originale di giovane imprenditoria locale che si è ritagliata uno spazio importante nell’ecosistema italiano di AWS – Amazon Web Services, il leader mondiale del public cloud, di cui potrebbe presto diventare il più piccolo Premier Partner al mondo. Così si può sintetizzare la vicenda di beSharp, di cui abbiamo intervistato i due co-fondatori Simone Merlini (CEO e CTO) e Alessandro Molina (CFO e CMO).

Come è nata beSharp e quali sono i vostri numeri oggi?

Siamo partiti noi due, ormai 10 anni fa, e adesso siamo circa 30. Il grosso della crescita è stato negli ultimi 4 anni, in cui abbiamo sempre raddoppiato personale e fatturato. Abbiamo chiuso il 2019 a circa 1,5 milioni di euro di fatturato, quest’anno pensiamo di poter arrivare intorno a 2,5 milioni.

Un giorno, davanti a una birra, abbiamo deciso di fare qualcosa insieme. Abbiamo background diversi, di sviluppo, system integration, grafica 3D. Non potevamo proporci come consulenti nella systems integration tradizionale: eravamo troppo giovani e senza referenze. Ci voleva qualcosa di completamente nuovo e ci è venuto in mente che durante il dottorato avevamo sentito della prima beta pubblica di EC2, qualcosa di rivoluzionario che permetteva di “affittare” e configurare macchine virtuali in remoto. Nel 2010 in Italia non ne parlava ancora nessuno. Così abbiamo iniziato a lavorarci, e abbiamo trovato il nostro “oceano blu”. Ci piace pensare che beSharp sia la prima azienda in Italia nata da zero per occuparsi di public cloud, in un momento in cui il cloud era una nicchia dell’IT. Adesso è un mercato enorme e ci siamo ritagliati una nicchia, selezionando aree su cui vogliamo essere i più bravi e mantenendo un’impronta di innovazione e ricerca continua. Per differenziarci nell’ecosistema AWS puntiamo tantissimo sull’eccellenza tecnica, oltre che su affidabilità e agilità. Per questo il nostro payoff è “we make IT run”.

Come avete deciso di concentrarvi su AWS?

Siamo nati come specialisti cloud, e abbiamo lavorato anche con altri cloud provider, poi il trend di mercato ci ha indirizzato: AWS è il leader del mercato public cloud, noi ci siamo fatti le ossa con EC2, e comunque i clienti che nelle prime fasi si rivolgevano a noi – grandi e piccoli ma comunque innovativi, con esigenze molto specifiche che l’IT tradizionale non riusciva a soddisfare – arrivavano tutti con l’idea di lavorare su AWS perché ne avevano sentito parlare.

Manteniamo anche competenze non AWS perché nei progetti multicloud servono. Però da quando abbiamo deciso di focalizzarci su AWS, abbiamo raddoppiato il business per 4 anni di seguito.

Quest’anno siete stati tra i 5 partner italiani premiati con l’AWS Award. Da dove nasce questo riconoscimento?

Siamo stati premiati anche l’anno scorso come partner italiano con il maggior numero di certificazioni pro-capite. Stavolta invece siamo partner dell’anno in area DevOps, area in cui AWS ci ha conferito la “competency”, una certificazione a livello di azienda assegnata dopo un processo di audit molto severo. In effetti il concetto di DevOps è quello che più riflette il nostro modo di pensare e lavorare. Aiutiamo i clienti a implementare metodi e pratiche che per primi utilizziamo al nostro interno, all’insegna di agilità, flessibilità, massima automazione possibile dei processi.

Avete accennato alle certificazioni: quali sono le più diffuse in beSharp?

Ne abbiamo quasi 100, su poco meno di 30 persone in organico, di cui alcuni non sono tecnici. Insomma siamo intorno alle 5 certificazioni pro-capite, ma alcuni hanno tutte le certificazioni AWS. Teniamo molto che chiunque lavori per noi prenda almeno la certificazione di base “Practitioner”, perché in un’azienda come questa non si può fare bene comunicazione, marketing o amministrazione senza conoscere quello che facciamo. La certificazione per noi più significativa, che quasi tutti abbiamo, è la Solutions Architect Associate. Poi abbiamo anche molte Solutions Architect Professional, e DevOps Professional, e teniamo molto a due certificazioni specializzate: la Security e la Networking. La Security perché in un ambiente così fluido come è il Cloud oggi è un tema su cui non si può scendere a compromessi. La Networking perché siamo “cloud native”, ma ci siamo anche sporcati le mani attaccando cavi sui rack.

Poi negli ultimi mesi è diventata molto importante la certificazione sul Machine Learning, ambito che AWS sta spingendo molto e che sarà uno dei più interessanti dei prossimi anni. Non siamo specialisti di Machine Learning, non ci occupiamo di modelli e della parte applicativa, ma facciamo tutto ciò che è abilitazione tecnica di questi progetti. Insomma investiamo davvero tanto in formazione, cosa che ci ha permesso di essere selezionati come Training Partner ufficiale AWS.

Da dove nasce questa forte vocazione alla formazione?

Fa parte del nostro DNA: beSharp è nata come spinoff dell’Università di Pavia, e il nostro approccio al mercato è sempre stato “educational”. Scriviamo white paper e blog, partecipiamo a eventi e conferenze, facendo evangelizzazione continua. Questo ci porta molti potenziali clienti alla porta.

È un approccio rafforzato dalla necessità: soprattutto all’inizio sul mercato non c’erano competenze cloud, e così abbiamo cominciato a crearcele in casa, anche se è la scelta più costosa e difficile. Abbiamo creato con l’Università di Pavia un percorso informale: contattiamo i ragazzi al momento della laurea biennale, proponendo un part time molto flessibile e retribuito durante la specialistica, in cui partecipano a progetti in produzione, e al momento della laurea sono pronti per entrare in azienda. Un buon 70% delle nostre persone ha seguito questo percorso, e questo ha un impatto anche in termini di economia locale, perché sono tutte persone del posto o che si erano trasferite a Pavia per fare l’università e sono rimaste. Siamo orgogliosi del fatto che di tutte le persone che abbiamo preso a bordo – in un mercato famelico di talenti come quello dell’IT – nessuno è mai andato via, nonostante le offerte ricevute.

Quali tipi di progetti cloud sono più richiesti in questo momento?

IoT, analytics e machine learning. Una problematica diffusa è come sfruttare grandi quantità di dati provenienti da sorgenti molto eterogenee – sistemi gestionali, sensori sul campo, macchinari industriali, API web – definendo processi di ingestion in funzione della mole di dati da processare, con varie tecniche di pre-processing e pulizia dei dati. Poi c’è il tema dello storage a lungo termine dei dati, con la distinzione dinamica tra hot e cold storage, e poi tutta la parte di estrazione del valore dei dati, sia per via analitico-statistica, sia per via artificiale. Qui tipicamente ci fermiamo, lasciando ad altri lo strato di presentazione, dashboard e business intelligence.

La recente apertura della region italiana di AWS ha avuto impatti sul vostro business?

Abbiamo costruito tutta la strategia di quest’anno su questo, tra l’altro iniziando anche a lavorare sull’apertura di una sede a Roma, perché è un tema particolarmente importante per tutto il settore pubblico e il suo indotto. Il lancio della region, anche se un po’ sottotono a causa del Covid, ha sbloccato una serie di progetti di clienti che stavano aspettando solo questo. È una novità che aiuterà a vincere le ultime resistenze sul Cloud. Su 100 progetti in realtà solo 5 hanno una reale necessità tecnica di data center vicini, per esigenze di latenza minima. Molti altri hanno bisogno della territorialità del dato per normative o regolamenti di settore vincolanti, ma qualcuno la invoca solo come pretesto, per interessi propri, magari anche all’interno di aziende che avrebbero una propensione innovativa.

Come vi procurate i clienti? Avete un’attività strutturata di lead generation?

Il grosso arriva dal referral, cioè dalle raccomandazioni di clienti che hanno lavorato bene con noi, o della stessa AWS. Poi abbiamo un tasso molto alto di clienti che tornano, perché puntiamo tantissimo sulla creazione di rapporti di fiducia.

Comunque abbiamo un processo di gestione dei lead, con registrazione sul CRM, e gestione del follow-up. Non è esteso a tutti i canali perché non riusciremmo a stare dietro a tutto.

Abbiamo sempre preferito crescere in modo sano, gestibile. Anche perché il mercato è ampio, in forte crescita, e con relativamente pochi player che conosciamo tutti. Non vale la pena di entrare in conflitto giocando al ribasso. L’anno scorso abbiamo fortemente voluto la certificazione ISO 9001 per dare un segnale sia all’interno che all’esterno che siamo un’azienda piccola ma non una piccola azienda: abbiamo una cultura dei processi e responsabilità ben definite e assegnate. Pur con il piede sull’acceleratore, salviamo sempre un po’ di tempo per consolidare, imparare la lezione e trasmetterla al team.

Potete citare qualche progetto particolarmente innovativo che vi ha colpito negli ultimi tempi?

Un grosso cliente italiano del settore fashion ha una quantità di dati enorme, che raccoglie da tantissimi canali, negozi, campagne di marketing, social, supporto clienti. Li ha tutti conservati ma in modo completamente destrutturato, Poi, a causa della pandemia, quest’anno hanno deciso di affrettare lo sfruttamento di questi dati. Noi siamo stati coinvolti insieme ad AWS, abbiamo investito tantissimo in questo progetto, creando in poche settimane un centro di eccellenza di data analytics/machine learning. Tutto è nato da un corso accelerato in 8 giornate al team IT del cliente, che ha acceso tante intuizioni positive nel team IT, e su queste basi abbiamo messo in piedi un POC, insieme ad AWS, con classificazioni di valore e clusterizzazioni di tutti questi dati. A quanto ci risulta molto a breve andrà in produzione la prima parte del progetto, con estrazioni di valore dai dati tramite machine learning per campagne, ottimizzazione della produzione e delle vendite, profilazione dei clienti.

Altro caso molto interessante è nel fintech, un ambito promettente che stiamo cercando di sviluppare. Si tratta di Banor SIM, per cui abbiamo impostato un’infrastruttura AWS per il monitoraggio automatico del mercato azionario che decide autonomamente quali titoli comprare e quali vendere sulla base di un motore di machine learning che agisce su regole definite dal cliente. Ora lavora su 500mila titoli con latenze sotto i 2 secondi.

Quali sono le vostre priorità strategiche per il 2021?

Una è l’internazionalizzazione, che già doveva partire quest’anno. Nel mondo AWS abbiamo un ruolo di primo piano a livello tecnico sul mercato italiano, che rappresenta il 95% del nostro fatturato, e vogliamo estenderlo oltreconfine. Sarà un’impresa molto complessa, in cui non basta essere bravi tecnicamente: avremo bisogno d’aiuto. Poi vogliamo aprire la sede a Roma, e raggiungere lo stato di AWS Premier Partner: saremmo il più piccolo Premier Partner al mondo. Infine vorremmo estendere a tutte le “time zone”, cioè a tutto il mondo, la versione “premium” di supporto infrastrutturale 24/7 che eroghiamo già a livello italiano.