Nonostante i numerosi venti contrari, dovuti soprattutto alla pandemia COVID tuttora in corso, i CEO a livello globale non sono mai stati così ottimisti negli ultimi 10 anni rispetto alle prospettive di una ripresa economica per l’anno a venire e lo stesso trend vale anche per l’Italia: l’89% dei nostri CEO (il 77% a livello globale) prevede infatti un miglioramento, mentre solo il 10% (15% a livello globale) si attende condizioni peggiori.

L’ottimismo dei CEO in Italia per il 2022 cresce di +19 punti rispetto ad un anno fa, quando era pari al 70%, mentre a livello globale aumenta di solo un punto arrivando al 77%. È quanto emerge dalla 25esima edizione dell’Annual Global CEO Survey di PwC, che ha intervistato 4.446 CEO in 89 paesi, di cui 123 in Italia, tra ottobre e novembre del 2021.

In particolare, i CEO degli USA si mostrano sicuri circa le prospettive di crescita delle proprie aziende; il 40% dichiara infatti di essere certo della crescita dei ricavi nel 2022, opinione condivisa anche dai CEO indiani. I CEO italiani non si discostano da questo clima di fiducia che perdura sia nel breve sia nel medio termine: l’88% degli intervistati è fiducioso circa la crescita nei prossimi 12 mesi, dato in aumento di 12 punti rispetto all’anno scorso, mentre i livelli di fiducia per il triennio arrivano al 90%, guadagnando 4 punti rispetto alla precedente rilevazione.

Andrea Toselli, Presidente e Amministratore Delegato di PwC Italia, ha dichiarato: “I CEO italiani sono estremamente fiduciosi circa la crescita delle loro aziende a 12 mesi e a 3 anni; puntano alla crescita internazionale anche grazie ad operazioni straordinarie e a nuovi investimenti in innovazione e sono sempre più attenti agli obiettivi non finanziari, in particolare a quelli collegati al tema net-zero e al coinvolgimento dei talenti in azienda. In questo sono confortati dalle potenzialità espresse del PNRR. Pur in una situazione ancora molto complessa dell’economia, è interessante comunque rilevare che i CEO con cui abbiamo parlato nutrano complessivamente un atteggiamento positivo verso il 2022”.

Il potere della fiducia

La fiducia non è mai stata così importante per il successo di un’azienda: averla e conservarla non è mai stato così difficile. Per la prima volta, il sondaggio di PwC ha creato un Customer Trust Index basato sulle risposte dei CEO a una serie di domande rispetto al comportamento dei loro clienti. Il sondaggio mostra una forte correlazione tra la fiducia e la sicurezza, in quanto i CEO delle aziende situate ai primi posti nel nostro indice sulla fiducia dei clienti sono anche quelli più sicuri rispetto alle prospettive di crescita nell’anno a venire. A livello globale, il 71% dei CEO delle aziende ai primi posti dell’indice è molto o estremamente sicuro sulle prospettive di crescita dei ricavi della propria azienda nei prossimi 12 mesi.

Si riscontra una correlazione anche tra la fiducia e gli impegni verso il “net zero”: a livello globale è molto più probabile che i CEO delle aziende che figurano ai primi posti dell’indice sulla fiducia dei clienti siano a capo di organizzazioni che si sono impegnate in tal senso (il 29%) rispetto a quelle che si trovano in fondo alla lista (il 16%). I CEO delle aziende a elevato livello di fiducia sono altresì più propensi a guidare organizzazioni che hanno correlato al compenso risultati diversi da quelli finanziari; rispettivamente circa la metà, il 51% e il 46% dei CEO a capo di organizzazioni in cima alla lista in termini di fiducia hanno assunto un impegno a livello di metriche di soddisfazione del cliente e interazione con i dipendenti collegate ai bonus personali o agli incentive plan.

I rischi informatici e sanitari fanno ancora paura

Se l’ottimismo dei CEO vola alto per la maggioranza, si riscontra anche la piena consapevolezza delle potenziali minacce che potrebbero avere un impatto sulle aziende nei prossimi 12 mesi. I rischi informatici e sanitari rappresentano ancora le principali minacce sia per i CEO italiani che per quelli globali, identificate rispettivamente dal 41% (49% a livello globale) e dal 36% (48% a livello globale) dei CEO. Segue a ruota la volatilità macroeconomica, con il 34% dei CEO (49% a livello globale) che si dichiara molto o estremamente preoccupato per l’impatto potenziale che le oscillazioni del PIL, l’inflazione e le questioni riguardanti il mercato del lavoro potranno avere sull’anno in appena iniziato.

Comprensibilmente, una percentuale elevata di CEO del settore dell’ospitalità e del tempo libero (il 75%) teme i rischi sanitari per l’economia, mentre il 49% dei CEO delle società in ambito energetico, delle utility e delle risorse considera il cambiamento climatico la principale minaccia per il 2022 (15 punti in più rispetto alla percentuale totale globale).

La percezione nei confronti delle minacce varia a livello geografico: più della metà (il 58%) dei CEO della regione Asia-Pacifico è molto o estremamente preoccupato circa i rischi sanitari nel prossimo anno (fa eccezione la Cina, in cui solo il 42% dei CEO è molto preoccupato in merito). In confronto, solo il 37% dei CEO dell’Europa occidentale e il 44% del Nord America nutrono timori analoghi rispetto ai rischi sanitari. Viceversa, solo il 44% dei CEO della regione Asia-Pacifico è altamente preoccupato per i rischi informatici (l’Australia, al 71%, è l’eccezione degna di nota), mentre i CEO del Nord America mostrano un elevato livello di preoccupazione (56%; il 61% negli USA), al pari dell’Europa occidentale (50%; il 41% in Italia).

A tal proposito, secondo Alessandro Grandinetti, Clients & Market Leader di PwC Italia, oltre alle minacce sanitarie e informatiche, non si possono sottovalutare quelle, non meno importanti, derivanti dal cambiamento climatico e dalla disuguaglianza sociale. Secondo Grandinetti è fondamentale non distogliere l’attenzione da queste tematiche a più lungo termine, in quanto andranno a definire la tipologia di mondo in cui viviamo e che trasmetteremo alla prossima generazione. In particolare, una risposta efficace ad un tema quale la riduzione delle emissioni, che può e deve essere gestito a livello globale, richiede due condizioni tra loro inscindibili; da un lato la messa a fattor comune di risorse, tanto economiche quanto in termini di competenze specialistiche del capitale umano (meglio se eterogenee) e, dall’altro, la convergenza di visione rispetto al cambiamento. Tali condizioni possono essere soddisfatte tramite la collaborazione, industriale e culturale, tra imprese ed ecosistema, perché queste diventino acceleratore e volano del cambiamento.

 

Molti CEO sono in ritardo rispetto agli obiettivi “net zero”

Il sondaggio di PwC mostra anche che servono maggiori progressi per raggiungere gli obiettivi globali sul clima, poiché meno di un terzo dei CEO afferma che la propria azienda si è impegnata per ridurre le emissioni: solo il 28% (22% a livello globale) degli intervistati dichiara un impegno “net zero”, mentre il 36% (29% a livello globale) dichiara che la propria azienda sta lavorando per impegnarsi sul punto. Una percentuale analoga, il 31% (26% a livello globale), si è impegnata verso l’impatto zero del carbonio e un altro 28% (30% a livello globale) sta lavorando in tal senso.

Il 29% dei CEO italiani (34% a livello globale) ha individuato nel cambiamento climatico una preoccupazione fondamentale per l’anno a venire, riflettendo la convinzione che questa non avrà un impatto sulla crescita dei ricavi sul breve termine. Sul lungo termine, tuttavia, garantire che l’impegno verso il “net zero” sia al centro delle strategie aziendali sarà essenziale non solo per mitigare i rischi del cambiamento climatico, ma anche per andare incontro alle aspettative di clienti, investitori e dipendenti.

Gli impegni “net zero” tendono a essere principalmente associati a società più grandi e con un impiego maggiore di carbonio. A livello globale, tra i CEO le cui aziende si sono impegnate verso il “net zero”, quelle in ambito elettricità e utility (40% delle aziende) sono al primo posto, seguite da quelle in ambito energia (39%), circa 15 punti in più rispetto ai settori successivi: telecomunicazioni e bancario e mercati dei capitali, entrambi al 24%. Circa due terzi (65%) dei CEO, le cui aziende registrano ricavi di minimo 25 miliardi di dollari, si sono impegnati per il “net zero”, rispetto al 10% di quelle con meno di 100 milioni di dollari di ricavi.

Oltre il 60% dei CEO italiani (oltre il 70% a livello global) dichiara che la propria azienda non ha ancora attivato politiche di sostenibilità quali impegni di “net zero” o di “carbon neutral”. Non stupisce quindi che il 71% dei CEO pensi che la propria azienda non produca una quantità significativa di emissioni di gas serra (GHG).

L’impegno dal punto di vista economico

A livello globale, il sondaggio ha infine rilevato che più l’impegno verso la decarbonizzazione è significativo per un’azienda, maggiori saranno le probabilità che gli obiettivi delle emissioni siano parte della strategia aziendale e siano collegate ai compensi dei CEO. Delle società in cui i CEO affermano di avere degli obiettivi “net zero” allineati con la scienza, il 70% include i target delle emissioni nella strategia aziendale (rispetto al 44% delle aziende con obiettivi non allineati con la scienza e al 9% di quelle senza alcun impegno “net zero” o “carbon neutral”), mentre un terzo di quelle con, o che stanno avanzando verso, un impegno “net zero” allineato con la scienza collegano le emissioni ai compensi dei CEO, rispetto a solo l’1% delle aziende senza alcun impegno “net zero” o “carbon neutral”.

“Nei 25 anni della Global CEO Survey abbiamo visto i CEO italiani affrontare molte sfide. Oggi i nuovi scenari prodotti dalla pandemia globale e dal cambiamento climatico stanno mettendo le imprese alla prova in modo inedito. Un elemento fondamentale è però la fiducia nel futuro, che oggi si esprime nell’ottimismo sulla crescita dei ricavi e nella capacità di migliorare le proprie performance rispetto agli obiettivi “net zero”, presupposto per il raggiungimento di risultati solidi e a lungo termine”, conclude Toselli.