Sulla scia delle “grandi dimissioni” e del successivo “quiet quitting”, oggi le persone cercano esperienze lavorative più umane, un concetto che spazia da giusta retribuzione e stabilità alla condivisione di valori alle opportunità di crescita e sviluppo professionale. E’ la fotografia che emerge dal report sulle Tendenze dell’Employee Experience 2023 pubblicato da Qualtrics. L’indagine del Qualtrics XM Institute ha coinvolto quasi 30mila persone a livello mondiale, di cui mille in Italia, per comprendere lo scenario attuale e dare alle aziende indicazioni per supportare e coinvolgere i propri collaboratori.

Il report Qualtrics evidenzia quattro trend per il 2023:

  • le persone chiedono rassicurazioni sulla solidità dell’azienda e del proprio posto di lavoro
  • le aziende che privilegiano l’equilibrio tra lavoro e vita privata sono premiate dai loro collaboratori, che sono disposti a dare più di quanto richiesto
  • per migliorare la produttività e alleviare i sintomi di stress è necessario andare oltre processi e tecnologie inefficienti
  • per aumentare il tasso di retention è importante la condivisione di valori tra persone e organizzazione aziendale.

Le aspettative delle persone sono radicalmente cambiate e i progressi ottenuti non possono essere annullati”, ha commentato Andrea Montuschi, Employee Experience Strategist di Qualtrics. “Il quadro economico cambia e spinge le persone a concentrarsi sui bisogni primari ed è essenziale comunicare con loro in modo chiaro e aperto. I collaboratori vogliono essere certi che il loro posto di lavoro sia sicuro e che la loro azienda sia al loro fianco per supportarli a seguito dei cambiamenti epocali prodotti da pandemia, crisi economica ed eventi geopolitici”.

La richiesta di stabilità

Solo il 49% degli intervistati italiani ritiene di essere remunerato in modo equo, contro il 61% della media mondiale e il 55% della media EMEA. Circa un terzo (34%) degli intervistati afferma che c’è un chiaro collegamento tra lo stipendio e la performance lavorativa. Le aziende dovranno tenere conto di questi aspetti, nonostante la riduzione dei propri budget e l’incertezza dell’economia globale.

Un altro aspetto che emerge dall’indagine è che i collaboratori soddisfatti del proprio stipendio hanno una probabilità dell’8% in più di rimanere in azienda per almeno altri tre anni. Ciò significa che in Italia molti professionisti potrebbero essere spinti a cercare nuove opportunità professionali, che siano in grado di offrire loro una retribuzione più in linea con le aspettative.

Lo stipendio è comprensibilmente al centro dell’attenzione dei lavoratori e le aziende dovrebbero quindi capire quali compromessi sono disposte ad accettare se si tratta di pagare per trattenere i migliori talenti”, ha aggiunto Montuschi. “Inoltre, le aziende dovrebbero effettuare analisi periodiche per essere certe che i loro collaboratori siano trattati in modo equo rispetto al mercato”.

La necessità di equilibrio tra lavoro e vita privata

Secondo il report, il 71% dei collaboratori che ritengono di avere un buon equilibrio tra lavoro e vita privata è disposto a dare più di quanto richiesto dall’azienda, contro il 18% di chi non è soddisfatto dell’equilibrio lavoro-vita privata.

Il bilanciamento lavoro-vita privata è essenziale per la sostenibilità delle aziende e per mantenere alte performance. È nell’interesse di tutta l’organizzazione che i collaboratori si possano prendere del tempo libero per staccare e ricaricarsi”, ha sottolineato Montuschi. “Dopo mesi passati a occuparsi del benessere delle persone aggiungendo servizi, forse è il momento di lavorare per sottrazione, restituendo alle nostre persone la loro risorsa più preziosa: il tempo”.

Eliminare processi e tecnologie inefficienti

La pandemia ha evidenziato alcuni processi che impediscono alle persone di essere produttive e, nello stesso tempo, ha introdotto nuove sfide. Poco più della metà (58%) dei lavoratori italiani ha dichiarato che i processi aziendali aiutano la produttività, un dato leggermente più basso di quello europeo (60%).

Al di là delle inefficienze di processo, solo il 59% dei rispondenti ritiene che la propria produttività sia stata supportata dalla tecnologia. Per esempio, la rapida adozione di nuove tecnologie durante la fase pandemica ne ha reso difficile l’integrazione con quelle esistenti, facendo sì che i diversi team utilizzassero applicazioni diverse per svolgere gli stessi compiti, oppure che fosse necessario utilizzare più applicazioni per completare un singolo processo. L’effetto di queste inefficienze ha generato sintomi da burnout nel 37% dei lavoratori, mentre il 36% ha dichiarato di essere emotivamente svuotato.

Siamo abituati a pensare in termini di carichi di lavoro, ma le inefficienze e la burocratizzazione dei processi sono un grosso problema quando si tratta di stress, poiché rendono difficile il lavoro e possono vanificare gli sforzi profusi dalle persone”, ha commentato Montuschi. “Dobbiamo ascoltare di più i nostri collaboratori per capire quali sono gli ostacoli che incontrano e lavorare per rimuoverli”.

Puntare a valori condivisi

Secondo il report, il principale driver di retention è la condivisione dei valori aziendali: l’80% dei collaboratori che sentono di far parte di un’organizzazione di cui condividono i valori sono propensi a restare in azienda per almeno 3 anni.

Un altro elemento di employee retention è la possibilità di crescita professionale: poco più della metà (56%) dei collaboratori italiani ritiene che i propri obiettivi di carriera possano essere raggiunti nell’azienda per cui lavora attualmente. Se non saranno messi in condizione di imparare nuove skill o di sviluppare quelle esistenti, i talenti cercheranno altrove nuove opportunità di crescita.