Come si misura un bravo professionista? Certo, le competenze contano, come pure l’esperienza sul campo e la capacità di dare il massimo in ogni situazione. Ma c’è un ambito largamente sottovalutato, in cui chi si occupa di IT è tenuto a cimentarsi quotidianamente, senza che nessuno gli abbia insegnato come fare.
Si tratta del rapporto con gli utenti finali, quelli che la tecnologia devono usarla senza necessariamente capirla, capaci di rovinare la giornata e far perdere tempo prezioso anche al professionista più preparato.
Con la consumerizzazione dell’IT la situazione è paradossalmente peggiorata, perché l’accesso a strumenti potenti ma, in superficie, facili da usare ha trasformato ogni utente in un sedicente esperto, restio ad accettare vincoli o complicazioni e drammaticamente portato al fai-da-te.
Per affrontare quello che può diventare uno scontro infruttuoso, ci sono regole e errori tipici da evitare, che prova a mettere in fila un articolo di Networkworld, sulla base di dichiarazioni di professionisti affermati, disposi a guardare in modo critico anche ai propri difetti.
Ecco le sei cose da non fare se volete rendere più serena la vostra giornata di lavoro.

1. Parlare in gergo tecnico

Tentare di spiegare all’utente che il problema di connessione può derivare da un errore del Dns, o che il server Dhcp non fornisce il corretto indirizzo Ip, significa partire subito con il piede sbagliato. Spesso chi si occupa di IT, senza nemmeno accorgersene, si rivolge a chiunque come se si trovasse davanti a un collega, sfoderando il linguaggio totalmente criptico che rende la categoria invisa e temuta da molti non addetti ai lavori.
Se l’uso dei tecnicismi a volte è un’ottima difesa dalle domande scomode, quando si deve instaurare un rapporto collaborativo, per risolvere rapidamente un problema, diventa una spina nel fianco. In questi casi meglio spiegare di meno, o farlo con parole universalmente comprensibili.

2. Non adattare il livello della comunicazione all’interlocutore

Se eccedere nel linguaggio tecnico è sicuramente un difetto, anche trattare l’utente come un bambino inconsapevole è spesso offensivo. Le persone normalmente non hanno la corretta percezione del proprio livello di competenze informatiche, e umiliare qualcuno che si ritiene abbastanza esperto da capire dei concetti specifici è controproducente. Certo trovare il giusto equilibrio nel modo di esprimersi può sembrare una perdita di tempo ed energie, specie mentre si devono affrontare problemi tecnici ben più intricati, ma il risultato può valere lo sforzo e migliorare la digestione di entrambi.
Il modo giusto prevede che si parta considerando l’interlocutore abbastanza competente, e poi si adatti il livello della conversazione una volta intuita la sua effettiva capacità di comprensione da tanti piccoli segnali, come l’espressione del viso, la curiosità e la pertinenza delle domande.

3. Ignorare le esigenze lavorative

Si dice spesso che l’IT in azienda deve uscire dal suo recinto e diventare parte integrante delle strategie di business. Il primo passo in questa direzione dovrebbe farlo il professionista, che di fronte all’utente impegnato ne deve capire i tempi e le necessità. In questo modo si potranno pianificare interventi di manutenzione in orari adatti a non interferire con le attività più comuni dei diversi reparti. È un semplice accorgimento ma tutt’altro che scontato, visto che sono in molti a lamentarsi di operazioni intempestive al punto da influenzare negativamente la produttività. Eppure in molti casi sarebbe semplice concordare un calendario che sfrutti tempi morti specifici per i diversi reparti.

4. Considerare gli utenti come clienti

Questo consiglio è in contraddizione con la tendenza imperante di vedere ogni interlocutore come cliente. Secondo Ken Piddington, CIO di MRE Consulting, applicare troppo estensivamente questa logica porta infatti a correre il rischio di non sentirsi parte della stessa squadra con gli altri reparti dell’azienda. Come si fa ragionevolmente a convergere su comuni obiettivi di business se ci si considera reciprocamente come clienti? Nell’approcciare gli utenti dei servizi IT bisogna invece non dimenticare quali sono i veri clienti, per la cui soddisfazione si deve lavorare insieme, riducendo quindi al minimo i tempi di inattività e collaborando in modo da assicurare la più alta produttività.

Se eccedere nel linguaggio tecnico è sicuramente un difetto, anche trattare l’utente come un bambino inconsapevole è  offensivo

5. Promettere troppo

Non ditelo ai nostri politici, ma anche alcuni informatici hanno la tendenza a essere troppo fiduciosi di sé stessi, dando false speranze agli utenti. Se però in politica le promesse eccessive portano a immediati risultati nelle urne, per poi lasciare tutto il tempo per ridimensionare le prospettive degli elettori, nell’IT la troppa generosità non paga quasi mai.
Inutile quindi indulgere nel piacere di sentirsi dire subito grazie, quando un picco di attività può facilmente costringere ad allungare i tempi. Meglio invece fornire stime più prudenziali per poi stupire positivamente qualora tutto andasse per il meglio. In fondo, come indicato poc’anzi, gli utenti non sono clienti da agganciare, ma colleghi che devono avere informazioni attendibili per sapere quando potranno riprendere la loro attività, nell’interesse comune dell’azienda.

6. Dare sempre la precedenza ai capi

Saper individuare correttamente le priorità di intervento, senza guardare in faccia nessuno, dovrebbe far parte dei doveri del professionista dell’IT. Anche se è difficile mettere in attesa le richieste di un top manager col notebook troppo pieno, quando un intero reparto è bloccato da ben altre necessità, si possono sempre trovare delle scuse. Se proprio non trovate un’idea abbastanza fantasiosa da indurlo a desistere, potrete sempre provare a farlo sentire ignorante sfoderando un po’ di gergo tecnico.