La trasformazione digitale acquisisce un peso sempre più rilevante nelle strategie e nelle decisioni di spesa delle imprese italiane. Lo dimostra la costante crescita del budget ICT, che nel 2018 aumenterà nel 36% delle aziende con un tasso stimato fra l’1,8% e l’1,9% e con investimenti concentrati soprattutto su Big Data Analytics, Dematerializzazione e sistemi ERP. Nel 39% delle imprese è presente un budget per il digitale anche in altri linee di business.

In particolare il 22% delle aziende prevede un aumento fino al 10%, il 14% oltre il 10%, il 52% delle imprese lascerà invariate le risorse, mentre soltanto il 12% prevede riduzioni. Sono le grandi imprese a trainare gli investimenti, con una crescita media del budget del 2,4%.

Sono alcuni risultati della ricerca degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence presentata ieri al Convegno Corporate Entrepreneurship e Open Innovation: innovare con un occhio alle startup!, che, attraverso le risposte di oltre 270 tra Chief Innovation Officer e Chief Information Officer e interviste dirette, ha fotografato la trasformazione digitale nelle imprese italiane in termini di risorse impiegate e modalità di governance.

Il principale ambito di investimento ICT delle imprese italiane, con il 43% delle preferenze, è costituito dai sistemi di Big Data Analytics e Business Intelligence. Al secondo posto Digitalizzazione e Dematerializzazione, prioritari per il 35%, poi il consolidamento delle applicazioni, lo sviluppo e il rinnovamento dei sistemi ERP, indicato dal 29% di imprese.

Al quarto posto cresce l’importanza degli investimenti in Sistemi di Security e Compliance, che con il 28% quasi raddoppia le preferenze rispetto allo scorso anno. Seguono a distanza l’Industria 4.0 (23%), lo sviluppo e il rinnovamento dei sistemi CRM (21%), le soluzioni di eCommerce (20%), quelle di mobile web e social marketing (17%), mobile business (12), sistemi cloud e Internet of Things (11%), Smart Working (10%), machine learning e intelligenza artificiale (7%) e blockchain (1%).

Cresce inoltre, assieme a quello per gli investimenti ICT, l’interesse per la Open Innovation. Le aziende ricercano infatti modalità di collaborazione più agili e veloci, nuovi modelli operativi e culturali che attingono da interlocutori come startup, centri di ricerca, clienti guida e persino aziende non concorrenti.

Se guardiamo alle indicazioni per il prossimo triennio la situazione si ribalta, con quasi tutte le fonti “tradizionali” di innovazione in discesa come vendor e sourcer di tecnologie (27%, -9% sul triennio precedente), le società di consulenza (26%, -7%) e le linee di business (33%, -2%), mentre aumentano in modo deciso le fonti di innovazione finora poco utilizzate, come le startup (che passano dal 9% al 26%), i centri di ricerca, le università e i clienti esterni (tutti registrano un incremento del 6%), oltre alle aziende non concorrenti (che passano dal 9% al 12%).

Tuttavia, nonostante la crescente attenzione, in Italia il numero di imprese che adotta consapevolmente e in modo sistematico progetti di Open Innovation è ancora limitato, pari al 28%, di cui solo il 7% da più di tre anni. A questo dato si aggiunge un 32% di aziende che non ha ancora adottato progetti di innovazione aperta ma è intenzionato a farlo a breve, mentre il 20% non conosce il fenomeno e un altro 20% non è interessato a sviluppare questa tipologia di iniziative.

Fra le imprese che adottano iniziative di Open Innovation, il 23% pratica la cosiddetta Inbound Open Innovation (o Outside-in), modello di innovazione aperta che incorpora stimoli esterni di innovazione all’interno dei processi. Il 73% di queste imprese sviluppa collaborazioni con università e centri di ricerca, il 56% svolge azioni di startup Intelligence, il 49% realizza Call4Ideas e contest esterni, il 34% compie azioni di partner scouting su fornitori tradizionali o conduce hackathon, datathon e appathon, mentre soltanto il 14% fa crowdsourcing.

Meno seguita invece la pratica di Inbound innovation secondo leve strategico-finanziarie come i corporate incubator e accelerator (20%), le acquisizioni (19%) e l’istituzione di Corporate Venture Capital per entrare nell’equity di iniziative imprenditoriali (12%).

Ancor meno diffuse infine sono le azioni di Outbound Innovation (o Inside-out), modello che esternalizza stimoli di innovazione interna avviato soltanto dal 9% di chi pratica l’Open Innovation. Il 22% di queste imprese sviluppa joint venture con altre realtà imprenditoriali, il 12% modelli di business a piattaforma, l’8% pratica il licensing dei propri prodotti. Seguono attività di donazione (3%), spin-off e vendita di brevetti (entrambi al 3%).