Qual è la formula migliore per un business resiliente? Quali sono le barriere all’innovazione per un’azienda? Quali le aree di miglioramento e quali le opportunità di crescita?

SAP ha cercato di dare una risposta a queste domande attraverso un’indagine condotta dalla sua divisione Insight basandosi su 4.239 interviste effettuate in 13 Paesi nel mondo (326 in Italia) a C-level di imprese di piccole (32%), medie (35%) e grandi (33%) dimensioni.

Tra i risultati dell’indagine, che la società tedesca ha presentato in occasione del recente SAP Now che si è svolto a Milano, spicca sicuramente che il 37% degli intervistati ha citato la difficoltà di abbandonare gli attuali modelli di business come una delle principali barriere all’innovazione.

Per affrontare il futuro occorre reinventarsi, occorre riplasmare i modelli di business ma ci sono resistenze al cambiamento perché la tecnologia è una cosa e le persone sono un’altra, ha affermato Carla Masperi, amministratore delegato di SAP Italia. Bisogna perciò educare le persone e creare le condizioni affinché possano abbracciare con entusiasmo il cambiamento vedendone le opportunità”.

Ci sono resistenze al cambiamento perché la tecnologia è una cosa, e le persone sono un’altra

Riplasmare i modelli di business

Un ulteriore aspetto che fa da freno all’innovazione, per altro evidenziato da un altro 37% del campione, riguarda la presenza di silos fra i dipartimenti. “Per essere fluida – ha aggiunto Masperi – l’azienda deve essere continuamente integrata, deve parlare un unico linguaggio in tutti i processi end to end, andando al di là dei silos. E questo deve accompagnare anche l’organizzazione. Il process mining analizza i processi e mostra dove sono i colli di bottiglia e le aree di possibile miglioramento. Quello che facciamo noi in più è che indichiamo in modo chiaro come poter migliorare i processi”.

Quella di Carla Masperi è un’affermazione che ha un obiettivo preciso: rispondere a una necessità evidenziata dalle aziende italiane intervistate. Infatti, il 53% ha indicato i miglioramenti tecnologici e il 48% di processo come le priorità più urgenti per rendere le proprie organizzazioni più reattive a rispondere ai cambiamenti. “C’è una grande consapevolezza nei C-level italiani che la tecnologia e l’innovazione possano davvero diventare la chiave che abilita il cambiamento e l’innovazione”.

Se si guarda al futuro, il 50% C-level italiani ha affermato che le possibilità di crescita e di innovazione nel giro di un anno sono strettamente legate allo sviluppo di nuovi prodotti e servizi, quindi, sostanzialmente, al core business; il 46% ha invece evidenziato l’importanza dell’espansione nei mercati dove la loro azienda già opera; mentre il 45% ha ritenuto strategica l’adozione di tecnologie intelligenti per migliorare l’analisi dei dati e i progetti decisionali.

Core business, aree geografiche e mercati rivestono un ruolo molto importante. Ma anche la tecnologia può aiutare. E noi abbiamo le tre i, innovazione, intelligenza e insight, le chiavi di lettura con cui riteniamo si debba affrontare il futuro”.

Quando agli intervistati è stato chiesto di valutare la propria efficacia in nove aree chiave per la resilienza (come rispondere velocemente a interruzioni delle operation, analisi dei potenziali rischi, identificazione di fonte di approvvigionamento e partner alternativi, creazione di canali di distribuzione alternativi, piani formativi per i nuovi ruoli richiesti dalle mutate condizioni di mercato, anticipare o saper gestire la scarsità di talenti), il 30% non si è considerato molto efficace.

Tuttavia, anche il restante 70% non sembra essere messo molto meglio. Infatti, si riconosce preparato solo in tre o meno delle nove aree indicate da SAP e nessuno degli intervistati ha classificato la propria azienda come “molto efficace” in tutte le aree analizzate.

Si lavora per processo ma si è organizzati per funzione

Carla Masperi ha voluto commentare i risultati dell’indagine con tre aziende clienti di SAP che operano in settori molto differenti tra loro: Gruppo De Longhi, Gruppo CAP e Fondazione Banco Alimentare Onlus.

Mi ritrovo molto nelle problematiche sulle resistenze al cambiamento e sui silos aziendali, ha precisato Nicola Serafin, direttore generale Gruppo De Longhi. Oggi si lavora per processo ma si è organizzati per funzione: è il grande dilemma della trasformazione in un’organizzazione per processo. Da questo punto di vista diventa fondamentale la qualità del dato. Dato qualitativo significa dato affidabile e, soprattutto, dato univoco. All’univocità del dato deve poi affiancarsi l’univocità di interpretazione perché questo aiuta il superamento dei silos aziendali. E permette anche di avere risposte in tempi rapidi. Una volta i dati si vedevano una volta al mese e con grande ritardo, oggi si guardano in tempo reale, aggiornati ogni cinque secondi. La velocità ti permette di passare da un livello incertezza, dovuta alla percezione, all’aderenza con la realtà delle decisioni. E oggi anche un Gruppo come De Longhi che ha una supply chain che raggiunge 120 Paesi nel mondo può essere gestito tramite uno smartphone”.

Diventa fondamentale la qualità del dato. Dato qualitativo significa dato affidabile e, soprattutto, dato univoco

Serafin ha sottolineato l’importanza di nuovi sistemi intelligenti, come per esempio il nuovo Joule di SAP, il cui apporto sarò sicuramente basilare. “Però non dimentichiamo che serve più data resilience in termini manageriali. Servono persone che abbiano la capacità di interpretare il dato trasversalmente alla funzione. Quindi, alla digital resilience aggiungerei questo concetto: i manager del futuro, quelli che porteranno le aziende al successo, saranno quelli che riusciranno a interpretare il dato”.

Dalla to do list al pensiero laterale

In buona parte, le aziende effettivamente lavorano secondo un approccio funzionale e i silos ci sono, è stato il commento di Alessandro Russo, amministratore delegato del Gruppo CAP, che gestisce una rete idrica di 14mila chilometri di tubature. Tuttavia, tra le funzioni di staff, che sono quelle più facilmente contaminabili, sta cominciando a inserirsi un approccio multidisciplinare. Solitamente siamo abituati a lavorare secondo una to do list, oggi invece si deve avere una capacità di pensiero laterale che porti ad affrontare ogni tipo di problema (finanziario, di supply chain o di sostenibilità) secondo un approccio sistemico”.

oggi si deve avere una capacità di pensiero laterale che porti ad affrontare ogni tipo di problema secondo un approccio sistemico

Secondo Russo, da questo punto di vista gli strumenti IT sono sempre più fondamentaliperché c’è un cambio di paradigma. Se fino a ieri erano bravi i manager che sapevano dare delle risposte oggi, e ancor di più domani, lo saranno coloro che sapranno fare domande, perché le risposte le fornirà l’intelligenza artificiale”.

Va però considerato che, anche culturalmente, non siamo ancora pronti perché “siamo abituati ad aspettare i risultati e valutarli per sapere cosa fare, mentre invece bisogna sapere prima quali risultati si vogliono ottenere. Questo porta stress perché se si sbaglia la domanda non si sa più cosa fare. Il processo è rischioso però dobbiamo essere tutti consapevoli che siamo obbligati a seguirlo perché il mondo si muove in tale direzione. Si devono fare delle domande e trovare risposte in anticipo e con puntualità. Non si possono fare più programmazioni quinquennali o decennali come si faceva prima”.

IT fondamentale anche per il Banco Alimentare

Anche Salvatore Maggiori, direttore generale Fondazione Banco Alimentare Onlus, ha sottolineato il valore del dato e della capacità di gestirlo efficacemente. Anche all’interno di una realtà del no profit. “Noi abbiamo tre modi per ottenere aiuto dalle aziende: c’è chi ci dona cibo, chi ci dona fondi e chi ci dona servizi. Anche in ambito IT abbiamo avuto molti aiuti. Tutto ciò che otteniamo lo dobbiamo però rendicontare per avere la credibilità e assicurare che quanto è stato donato vada davvero a chi ne ha bisogno. Per farlo ci servono strumenti che ci permettano di tracciare in modo efficiente i processi”.

E non è certo un compito di poco conto per una realtà che aiuta oltre 1,7 milioni di persone in Italia attraverso una rete logistica con 22 sedi, compresa la Fondazione di Milano, e che collabora con circa 7.600 strutture incaricate di distribuire il cibo raccolto (si tratta di circa 113.000 tonnellate in un anno). “Tra l’altro questa attività ha anche un impatto dal punto di vista ecologico: nel 2022 abbiamo salvato 77.000 tonnellate di CO2 evitando che il cibo finisse fra i rifiuti”.

Oltre che per gli aspetti logistici, la gestione del dato e la capacità di non lavorare più per silos sono importanti per Fondazione Banco Alimentare Onlus anche in termini organizzativi. Al nostro interno abbiamo creato dei pool interfunzionali, che hanno comportato un importante cambio di mentalità dal punto di vista operativo. Inoltre, lavoriamo con dipendenti e volontari, dai giovani agli ultra-pensionati. Tutte persone che sono da integrare nei processi. E questo si può fare solo se si hanno gli strumenti gestionali adatti, altrimenti è impossibile”.

Una delle sfide che il banco alimentare deve affrontare è lavorare in maniera ancor più integrata e per farlo sta passando SAP S/4HANA. “Per noi è davvero un grande sforzo, sia economico sia organizzativo – ha concluso Maggiori –, ma stiamo utilizzando questa occasione per cambiare il modo di lavorare, i processi e le mentalità e per far lavorare le persone più in modo ancor più  interfunzionale”.