La telemedicina soffre di una male molto italiano. Non siamo all’anno zero, anzi. Le esperienze sono ormai numerose, ma vanno per i fatti loro senza un coordinamento, un progetto comune, un’idea di sviluppo che vada oltre il singolo caso. E, soprattutto, come ha sottolineato Francesco Gabbrielli, direttore del centro nazionale per la telemedicina e le nuove tecnologie assistenziali dell’Istituto superiore di sanità, “Questo è il primo gradino che ci permetterà di utilizzare in modo nuovo i dati”.

Gabbrielli traccia un percorso che parte dalla telemedicina per passare a una diversa organizzazione del lavoro con vari modelli di erogazione dei servizi sanitari e una gestione dei dati non solo sanitari che permetta di arrivare all’obiettivo della medicina personalizzata. In mezzo ci sono una quantità di tecnologie abilitanti, da smartphone e app fino alla domotica passando anche per i droni. La telemedicina, che si articola poi in telesorveglianza, controllo e altro, viene inserita in un processo, una parte di un cammino molto più articolato che, tra l’altro, “non può essere improvvisato con sistemi non consentiti dalla privacy”.

Le stime del risparmio

Dal dicembre 2020, a sei anni dall’approvazione delle linee guida nazionali, la tecnologia è entrata a fare parte del Sistema sanitario nazionale. In particolare la telemedicina viene ritenuta particolarmente utile in caso di emergenza sanitaria, per scambiare informazioni cliniche e raggiungere in videochiamata i soccorritori, per il controllo delle patologie di particolare rilievo per la governance del Ssn, per l’accessibilità ai servizi diagnostici e la continuità assistenziale, il monitoraggio a distanza e la certificazione medica.

Degenza ospedaliera più breve, minor costo delle cure, monitoraggio continuo e consulto a distanza sono i vantaggi principali di una soluzione che, secondo Juniper research, potrebbe portare a risparmi al sistema sanitario mondiale di 21 miliardi di dollari entro il 2025 con una crescita dell’80% rispetto agli 11 miliardi del 2021.

Altri studi, ormai datati, parlano di sette miliardi di risparmio per il Ssn e in altri casi un calo del 25% delle giornate di degenza.

Agli italiani la telemedicina piace. Secondo una ricerca su oltre 1.500 persone svolta da Dottori.it, il 70% degli utenti si è detto pronto a passare alle visite a distanza e un’altra indagine targata VMware dice che il 45% dei cittadini è disposto a usufruire dei degli appuntamenti virtuali con il medico, mentre il 57% è fiducioso anche per quanto riguarda la chirurgia da remoto.

Altra conferma arriva dall’Osservatorio sanità di Unisalute secondo il quale la pandemia ha incentivato l’utilizzo di questo strumento. Nel 22% dei casi, infatti, le persone costrette in casa hanno potuto risolvere questo problema usufruendo di servizi di telemedicina, videoconsulto o consegna domiciliare dei farmaci.

Servizi molto apprezzati dagli italiani che ne hanno fatto uso: il 68% ha dichiarato che questi strumenti hanno semplificato la gestione dell’isolamento e il 25% li ha considerati addirittura indispensabili.

La pandemia è stato il boost che ha permesso un uso più accentuato della telemedicina. Sono infatti 222 le iniziative che si sono sviluppate in Italia con la pandemia. I dati dell’Altems, l’Alta scuola di economia e management dei sistemi sanitari dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dicono che 160 sono dedicate ai pazienti non-Covid e 62 a pazienti Covid. Televisite e consulenze rappresentano il 60%, mentre oltre il 50% utilizza telefono e piattaforme.

Il Teleconsulto servizio più in voga

Secondo Chiara Sgarbossa, direttrice dell’Osservatorio innovazione digitale in Sanità della School of management del Politecnico di Milano, “La Telemedicina è entrata finalmente nell’agenda dei decisori politici, che hanno compreso quanto sia fondamentale per garantire la continuità di cure, anche a domicilio, e l’integrazione fra ospedale e territorio. L’accelerazione imposta dalla pandemia e dall’evoluzione normativa ha aumentato anche l’interesse e l’impiego di applicazioni di telemedicina da parte dei medici. Se prima dell’emergenza il livello di utilizzo superava di poco il 10%, durante l’emergenza è triplicato, superando il 30% per molte applicazioni”.

Il servizio di Telemedicina più utilizzato è il Teleconsulto con medici specialisti (lo usa il 47% degli specialisti e il 39% dei Mmg), che attira anche l’interesse in prospettiva di 8 medici su 10. Seguono la Televisita (39% degli specialisti e dei Mmg) e il Telemonitoraggio (28% specialisti e 43% Mmg).

La telefonata o la videochiamata di controllo con il medico sono ancora la modalità più utilizzata per il monitoraggio a distanza dello stato di salute (23% dei pazienti). Ancora marginale l’uso di servizi di Telemedicina strutturati, come la Televisita con lo specialista (8%), Teleriabilitazione (6%) e Telemonitoraggio dei parametri clinici (4%).

Secondo i medici specialisti, le soluzioni di Telemedicina consentirebbero di organizzare da remoto circa il 20% delle visite di controllo ai pazienti cronici. Per arrivare a uno sviluppo efficace della telemedicina è però necessario che cresca la cultura digitale anche da parte del settore medico, che il divario digitale sia annullato e che, per esempio, i dati dei pazienti siano interoperabili.

Intanto, con il mutare della pandemia e il ritorno degli ospedali a un’attività più ordinaria, dagli Stati Uniti arriva qualche segnale negativo con la diminuzione dei numeri della telemedicina. Un passo indietro che dimostra come in alcuni casi la soluzione non faccia parte di un processo organico verso la digitalizzazione e una nuova organizzazione del lavoro, ma solo un’emergenza da attivare solo in casi estremi.