Quale possibilità c’è che un paziente con sindrome mielodisplastica incorra in una leucemia? Una risposta a questa domanda viene dai risultati dello studio coordinato da Matteo Della Porta di Humanitas, in collaborazione con Gastone Castellani dell’Università degli Studi di Bologna, all’interno del consorzio europeo GenoMed4All. I risultati, pubblicati sul Journal of Clinical Oncology, hanno mostrato la solidità prognostica del cosiddetto “score molecolare Ipss-M”, un nuovo strumento per migliorare sensibilmente la capacità di predire il rischio di evoluzione leucemica e l’aspettativa di vita in pazienti con sindromi mielodisplastiche. Lo score molecolare serve ad analizzare le informazioni sui dati genomici di ciascun paziente, concentrandosi in particolare su 31 geni.

La ricerca è stata condotta con il sostegno di EuroBloodNet, la rete europea di riferimento per le malattie ematologiche rare, e di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.

La valutazione del percorso terapeutico

Le sindromi mielodisplastiche sono neoplasie eterogenee, molto diverse da paziente a paziente, che vanno da condizioni indolenti, a lenta progressione, a casi che progrediscono rapidamente verso una leucemia mieloide acuta. Si tratta di malattie che insorgono con maggiore frequenza in persone adulte o anziane, la cui cura definitiva è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, una procedura che presenta importanti criticità. In Italia sono circa tremila i nuovi casi di sindrome mielodisplastica diagnosticati ogni anno.

Di norma gli ematologi decidono le strategie di trattamento da proporre ai pazienti in base a uno score clinico (Ipss-R), ottenuto in base a indicatori come il numero delle cellule leucemiche nel midollo osseo, i livelli di globuli bianchi, rossi e piastrine nel sangue (citopenie) e le anomalie nei cromosomi delle cellule emopoietiche (anomalie citogenetiche). Anche per la decisione di eseguire un trapianto di cellule staminali ematopoietiche è normalmente presa considerando i parametri di questo score, che non contiene però informazioni sul profilo genomico della sindrome. Si tratta di un aspetto sempre più importante per valutare l’impatto della malattia sulla qualità e aspettativa di vita di ciascun paziente.

Utilizzando i dati molecolari della malattia rilevati in ogni paziente con un test su 31 geni, lo score molecolare (Ipss-M) ha dimostrato, su 2.876 pazienti con sindromi mielodisplastiche, di migliorare significativamente la capacità di predire il rischio di evoluzione leucemica e l’aspettativa di vita – spiega Matteo Della Porta, Responsabile Leucemie e Mielodisplasie di Humanitas e Docente di Ematologia presso Humanitas UniversityLo strumento è utile soprattutto nella valutazione del percorso terapeutico ottimale di ogni paziente. Infatti, la possibilità di individuare sulla base del profilo molecolare le persone a più alto rischio di progressione di malattia, consente di ottimizzare la scelta dei trattamenti e del momento più opportuno in cui intervenire”.

In primo luogo – sottolinea Della Porta – questo studio è un esempio di ricerca traslazionale che dimostra l’utilità, nella pratica clinica, di scoperte fatte anni prima nell’ambito della ricerca di base, cioè l’identificazione di mutazioni associate alle sindromi mielodisplastiche. In secondo luogo offre ai medici uno strumento accurato e validato per individuare in modo sempre più efficace i pazienti candidabili al trapianto di cellule staminali ematopoietiche e il tempo ottimale in cui effettuare la procedura in ciascun paziente. Infine l’utilizzo di strumenti clinici di precisione rappresenta un aiuto importante per i pazienti per affrontare con maggiore consapevolezza e serenità scelte difficili, come un trapianto”.

I test molecolari non sono ancora di routine nel mondo, a causa dei costi e delle infrastrutture richieste. “Sebbene per questi pazienti sia indicato uno screening genomico ampio di 31 geni, abbiamo individuato un numero minore di geni imprescindibili (15) per facilitare l’implementazione clinica dello score Ipss-M”, continua Della Porta.

Lo sviluppo e l’applicazione di metodi innovativi con cui analizzare e integrare una grande mole di dati clinici e genomici hanno permesso di abbreviare i tempi con cui i risultati delle ricerche possono essere tradotte in un beneficio pratico per i pazienti – dice Elisabetta Sauta, data scientist di Humanitas AI Center –. Le tecnologie utilizzate aiutano infatti a definire e migliorare modelli di previsione utili alla diagnosi e a decisioni terapeutiche sempre più mirate, tenendo conto della variabilità individuale dei pazienti. È importante sottolineare che tali risultati sono stati raggiunti anche grazie alla collaborazione multidisciplinare tra clinici, ricercatori, data scientist e altri partner europei: una collaborazione che ha permesso di rispondere alle specifiche esigenze cliniche di malattie così eterogenee”.