È l’ultima missione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ma è sicuramente quella che maggiormente risente degli avvenimenti più recenti. La Sanità è quindi argomento caldo ma non per questo è riuscita ad accaparrarsi gran parte di quello che chiedeva il ministro Speranza.

Dalla richiesta di 64 miliardi si è passati infatti a venti divisi fra 15,6 miliardi effettivi di investimenti a cui si aggiungono 2,9 miliardi del fondo complementare e altri 1,7 del piano React Eu. Gli oltre 15 miliardi si dividono in sette miliardi per riforma reti di prossimità, strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale e rete nazionale della salute, ambiente e clima e 8,6 destinati invece a ospedali, ricerca e digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale.

Gli obiettivi

Dal punto di vista degli obiettivi si parla di curare a casa il 10% degli over 65 (1,4 milioni di persone, oggi siamo al 4%) entro il 2026. Un target che prevede una maggiore copertura del territorio con pazienti a casa ma in contatto con i medici e strutture snelle come le 1.288 case della comunità che dovrebbero essere attivate entro la metà del 2026. Le cure intermedie a bassa intensità clinica saranno gestite da 380 ospedali di comunità da costruire entro il 2026.

Obiettivi di questo tipo necessitano anche di una robusta infrastruttura tecnologica che comprende i macchinari, quasi la metà del parco macchine installato ha più di dieci anni. Poi c’è la digitalizzazione dei dipartimenti di accettazione ed emergenza (Dea) legati ai pronto soccorso che valgono quasi 1,5 miliardi di euro e la sostituzione di 3.133 grandi apparecchiature con oltre cinque anni di anzianità che comportano un investimento di 1,18 miliardi. Oltre a questo c’è il rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e gli strumenti di gestione dei dati (fascicolo sanitario elettronico) che si portano via 1,64 miliardi.

Manca un elemento fondamentale, la telemedicina che secondo Agenas, l’Agenzia per i servizi sanitari regionali è la chiave di volta per affrontare le sfide poste al Ssn. Il Recovery plan stabilisce che bisogna “Utilizzare la telemedicina per supportare al meglio i pazienti con malattie croniche” e che “il fabbisogno di risorse per la realizzazione di questo investimento è stimato in quattro miliardi di euro, di cui 2,72 miliardi connessi ai costi derivanti dal servire un numero crescente di pazienti, 0,28 miliardi per l’istituzione delle Cot (Centrali operative territoriali) e un miliardo per la telemedicina”.

Alla fine, dei quattro miliardi ne rimane uno che non pare sufficiente anche perché i tre obiettivi di dettaglio dicono che bisogna colmare il gap tra le varie aree del Paese, migliorare i risultati dell’assistenza sanitaria e i percorsi dei pazienti e aumentare l’efficienza dei sistemi sanitari regionali grazie alla promozione dell’Assistenza domiciliare integrata (Adi).

L’Adi sarà collegata con le Cot da remoto e quindi le centrali saranno dotate della tecnologia che permette il controllo a distanza dei dispositivi forniti ai pazienti, supporteranno lo scambio di informazioni tra i sanitari e saranno un punto di riferimento per i caregiver. Un mondo bellissimo dove i progetti delle Regioni, finanziati dal Pnrr, dovranno potersi integrare con il Fascicolo sanitario elettronico (Fse) e raggiungere determinati obiettivi con una decisa preferenza verso i progetti che coinvolgono più regioni per la realizzazione di piattaforme in comune.

Secondo il Pnrr, “Il Fse svolgerà tre funzioni chiave: punto di accesso per le persone e pazienti per la fruizione di servizi essenziali forniti dal Ssn; base dati per i professionisti sanitari contenente informazioni cliniche omogenee che includeranno l’intera storia clinica del paziente; strumento per le Asl che potranno utilizzare le informazioni cliniche del Fse per effettuare analisi di dati clinici e migliorare la prestazione dei servizi sanitari.

ll progetto prevede: la piena integrazione di tutti i documenti sanitari e tipologie di dati, la creazione e implementazione di un archivio centrale, l’interoperabilità e piattaforma di servizi, la progettazione di un’interfaccia utente standardizzata e la definizione dei servizi che il Fse dovrà fornire”.

Il fascicolo sanitario elettronico è ancora poco sfruttato

Ovviamente è necessario anche un modello nazionale condiviso e l’interoperabilità dei dati e sistemi cloud nelle Asl perché i dati siano disponibili in tempo reale. A oggi sono circa trecento le best practice di telemedicina e per quanto riguarda il Fse abbiamo ancora spazi di miglioramento.

Sul sito dell’Agenzia per l’Italia digitale sono disponibili i dati del monitoraggio per l’attuazione e utilizzo del Fascicolo. Si passa dal dato più basso di attuazione dell’Abruzzo che è al 36% a Lombardia, Puglia, Sicilia, Toscana e Umbria arrivati al 100% con le altre regioni tutte superiori all’80%. Diversa è la situazione per quanto riguarda l’utilizzo visto che in Abruzzo sembra non ci siano state attivazioni e appena superiore è il livello di Basilicata, Marche e Molise. 39% per la Liguria, 41% per la Puglia e poi si sale con la punta del 100% della Sardegna e il 99% della Lombardia.

Qualche perplessità sui dati di utilizzo degli ultimi novanta giorni con Abruzzo, Basilicata, Calabria e Campania, Marche, Molise e provincia di Bolzano a zero e la Sardegna al 100%. Questo però significa anche che alcuni Fse non sono ancora pienamente operativi. Secondo l’Osservatorio sull’innovazione nella sanità digitale del Politecnico di Milano Veneto, Toscana, Friuli Venezia Giulia, e Provincia di Trento hanno praticamente concluso l’introduzione dei dati, altri come Sardegna, Valle d’Aosta, Lombardia e Sicilia sono sopra il 70%, Emilia-Romagna e Puglia sono al 50% e gli altri vicini allo zero.