Un cittadino su tre chiede che la sanità sia più capillare sul territorio, ma le opinioni dei cittadini non necessariamente collimano con quelli dei rappresentanti eletti in parlamento o nei consigli regionali.

È uno degli aspetti più interessanti emersi da un’indagine condotta da LS Cube in collaborazione con YouTrend-Quorum nell’ambito del progetto “Net-Health Sanità in Rete 2030”, presentata alla Luiss Business School di Roma.

Riguardo gli investimenti in sanità, per esempio, il campione dei parlamentari si esprime in termini prioritari per il 34%, mentre i consiglieri regionali per il 17%: i cittadini invece, sono al 32,9%. Il problema è che chi ha in mano la sanità sono i consiglieri regionali che lavorano in un ente che ha nella sanità il budget e il potere principale.

Forse perché ritengono che ospedali e altro siano già a un buon livello considerano questo settore solo uno dei più importanti. Forse anche perché, come succede in alcune regioni, l’intenzione è comunque di dare grande spazio alla sanità privata, ma questo l’indagine non lo dice.

Sanità capillare

In parlamento si pensa che la medicina territoriale sia l’ambito principale di investimento (78%), mentre nelle regioni (61%) si guarda con favore agli investimenti nella ricerca clinica e farmaceutica e i cittadini (35,7%) chiedono una sanità più capillare sul territorio.

Anche sulle criticità emerse durante la pandemia vi sono visioni differenti. A Roma gli eletti sono convinti che il tutto sia causato principalmente dall’incapacità di gestire patologie diverse dal Covid-19 (37%) e dall’eccessiva decentralizzazione della sanità (28%). A sorpresa, la decentralizzazione è al primo posto fra le criticità emerse secondo i consiglieri regionali (44%), mentre i cittadini che lo pensano arrivano solo al 18,4%. Molti di più (41,3%) sono quelli che puntano il dito, anche in maniera facile visto la genericità dell’affermazione sull’inefficienza della sanità pubblica.

Sulla digitalizzazione invece le opinioni sono più uniformi. In testa con il 70% ci sono i parlamentari che propendono per una minore interazione fisica tra medico e paziente. Al 60% si fermano i consiglieri regionali superati dai cittadini (66,1%) che dopo la pandemia hanno abbracciato la telemedicina.

Il tutto si complica quando si parla di digitale come veicolo per il diritto alla salute. In questo caso il 77% degli eletti a Roma e l’85% di chi sta in consiglio regionale pensano che l’utilizzo del digitale ridurrà le disuguaglianze. Ma se sondiamo i parlamentari che lavorano nella commissione Affari costituzionali (il tema è delicato e si toccano diritti costituzionalmente garantiti) i pareri favorevoli scendono al 55%.

Disuguaglianze

Nonostante il trasporto per la telemedicina i cittadini sono convinti che il digitale invece aumenterà le disuguaglianze. Il perché va cercato anche nelle difficili esperienze relative alla Dad che hanno portato in primo piano il problema del digital divide. Ma la digitalizzazione è veramente così importante per l’efficienza del Sistema Sanitario Nazionale? Mica tanto.

Almeno cosi afferma il 73% dei parlamentari e il 91% dei consiglieri regionali che non la ritengono determinante. Il 43,9% dei cittadini invece pensa che sia l’elemento cardine per migliorare la situazione.