La Sanità che si concentra sulla salute delle donne ha un termine preciso, Femtech. E sta ricevendo un grande interesse da parte di startup, venture capital e finanziatori. Si tratta di un mercato con un valore di 40,2 miliardi di dollari nel 2020 e le previsioni indicano che crescerà a un CAGR medio del 13,3% fino al 2025 fino a raggiungere i 75,1 miliardi di dollari, in molti sono convinti si tratti di un settore dalle grandi potenzialità ma ancora sottovalutato.

Il termine Femtech indica prodotti, servizi, applicazioni e software, dispositivi medici, dispositivi indossabili, hardware, farmaci terapeutici, vitamine e integratori, piattaforme digitali e prodotti di consumo progettati per migliorare o sostenere la salute delle donne. Con il 21% del mercato totale, gravidanza e allattamento è il più grande comparto dell’industria FemTech per numero di aziende, seguito da salute riproduttiva e contraccezione, che rappresenta il 17%, e dalla salute mestruale insieme all’assistenza sanitaria generale che occupano entrambi il terzo posto e il 14% ciascuno. Insieme, queste aree rappresentano il 65% dell’intero mercato FemTech.

La carenza di investimenti

Negli ultimi anni si è assistito a un forte aumento di questo tipo di soluzioni grazie all’adozione di nuove tecnologie e modelli di business, ma la mancanza di investimenti rimane l’ostacolo principale per lo sviluppo del settore, insieme all’insufficienza dei fondi per la R&S e alla mancanza di sostegno pubblico. Gli investitori early-stage sono tra i maggiori finanziatori delle aziende di health tech focalizzate sulle condizioni di salute delle donne. Secondo i dati di Pitchbook, i finanziamenti dei venture capital sono triplicati dal 2015, passando da poco più di 600 milioni di dollari a quasi 1,9 miliardi di dollari lo scorso anno.

Tuttavia, secondo gli analisti di McKinsey, gli investimenti complessivi nella salute delle donne restano insufficienti. Oltre al cancro al seno, le condizioni di salute femminile hanno raccolto appena l’1% dei finanziamenti per la ricerca farmaceutica nel 2020. Solo il 2% dei finanziamenti per le tecnologie mediche è stato dedicato alle patologie femminili non legate al cancro. Il mercato però si muove. L’anno scorso si sono verificate due delle più grandi operazioni Femtech in start-up orientate alla maternità. A maggio è stata acquisita Modern Fertility di Ro, nata come piattaforma di salute digitale incentrata sugli uomini, in un’operazione valutata 225 milioni di dollari. Ad agosto, Maven Clinic, un’azienda di servizi virtuali per la maternità e la salute delle donne, ha raccolto più di 100 milioni di dollari da investitori tra cui Oprah Winfrey, in un’operazione che ha valutato l’azienda più di un miliardo di dollari.

Il ruolo delle corporation

Secondo Deena Shakir, un investitore di Maven, parte dell’espansione dei finanziamenti Femtech è guidata dalla crescita dei grandi datori di lavoro che adottano servizi incentrati sulla salute materna e familiare.

“Non si tratta solo di una cosa bella da avere, ma di una necessità per mantenere le donne nella forza lavoro. Per questo motivo, i budget delle aziende per l’assistenza prenatale, l’assistenza materna e l’assistenza pediatrica sono sempre più consistenti“, ha dichiarato Shakir, partner di Lux Capital. Secondo il Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti, infatti, le donne in età fertile sostengono spese sanitarie superiori di oltre l’80% rispetto alle loro controparti maschili.

I datori di lavoro hanno quindi tutto l’interesse a ridurre il divario sanitario delle loro dipendenti, perché sono loro a pagare gran parte del conto. Uno dei motivi per i quali il mercato non si è ancora sviluppato risiede nel fatto che, secondo quanto dichiarato da Michelle Tempest, partner della società di consulenza sanitaria Candesic, è che la ricerca nel campo delle scienze della vita è stata prevalentemente “adattata al corpo maschile“.

Nel 1977, la Food and Drug Administration statunitense ha escluso le donne in età fertile dalla partecipazione alle sperimentazioni sui farmaci. Da allora, le donne sono state sottorappresentate nelle sperimentazioni farmacologiche a causa della convinzione che le fluttuazioni causate dai cicli mestruali potessero influenzare i risultati delle sperimentazioni e anche perché se una donna rimaneva incinta dopo aver assunto un farmaco in sperimentazione, il farmaco poteva avere effetti sul feto. Di conseguenza, ha osservato, “siamo in ritardo rispetto agli uomini”.

Una situazione in movimento

Negli ultimi anni si sta però cercando di guadagnare terreno. In particolare da quando il termine Femtech è stato coniato da Ida Tin, la fondatrice di origine danese di Clue, un’applicazione per il monitoraggio del ciclo mestruale e dell’ovulazione, fondata in Germania nel 2013. In un articolo pubblicato sul sito web dell’azienda, Tin ha ricordato come ha avuto l’idea per lo sviluppo dell’applicazione. Nel 2009 si è trovata a tenere un cellulare in una mano e un piccolo dispositivo per la misurazione della temperatura nell’altra e ha desiderato di poter unire le due cose per tenere traccia dei suoi giorni di fertilità, invece di dover annotare manualmente la temperatura su un foglio di calcolo.

Clue permette alle donne di fare esattamente questo con pochi tap direttamente sul proprio smartphone. Oggi l’azienda ha molta concorrenza nel settore del monitoraggio. Sono arrivati sul mercato molti altri strumenti specifici per le donne, tra cui Elvie, azienda londinese, che ha commercializzato un tiralatte indossabile e un trainer per l’esercizio pelvico insieme a un’applicazione, entrambi basati sulla tecnologia intelligente.

Un altro filone del settore è noto come Menotech, mirato a migliorare lo stile di vita delle donne in menopausa, fornendo accesso alla telemedicina, alle informazioni e ai dati a cui le donne possono attingere. Poi ci sono i tracker e gli indossabili, la diagnostica a domicilio e le aziende di diagnostica clinica che stanno spingendo la frontiera scientifica per rispondere a esigenze mediche non soddisfatte in aree come l’endometriosi e la nascita pretermine. E ancora, le aziende stanno affrontando con decisione argomenti come la salute mestruale, quella sessuale, cura pelvica e menopausa.

Altro filone riguarda l’assistenza culturalmente sensibile e su misura. Stanno emergendo infatti soluzioni personalizzate per le minoranze etniche, per la popolazione LBGTQ+ e per le donne provenienti da Paesi a basso e medio reddito.

Fioriscono le startup

Altri esempi di aziende Femtech arrivano da Israele con MobileOdt, una start-up con sede a Tel Aviv, che utilizza smartphone e I.A per effettuare lo screening del cancro al collo dell’utero. Un colposcopio intelligente – un dispositivo di imaging portatile grande una volta e mezza uno smartphone – viene utilizzato per fotografare la cervice di una donna da una distanza di circa un metro.

L’immagine viene poi trasmessa al cloud tramite uno smartphone, dove l’intelligenza artificiale viene utilizzata per identificare i risultati normali o anomali della cervice. La diagnosi viene fornita in circa 60 secondi, rispetto alle settimane necessarie per ricevere i risultati di uno striscio standard (che, nei Paesi in via di sviluppo, si protrae per mesi). La tecnologia è stata recentemente utilizzata per lo screening di novemila donne durante un periodo di tre mesi nella Repubblica Dominicana, nell’ambito di una campagna condotta dal Governo.

Una startup francese invece si è concentrata sulla gestione delle conseguenze del cancro al seno. Lattice Medical ha sviluppato una protesi mammaria cava stampata in 3D che consente la rigenerazione dei tessuti e viene assorbita dal corpo nel tempo. Dopo la mastectomia, il chirurgo preleva un piccolo lembo di grasso dall’area immediatamente circostante il seno della donna e lo inserisce nella bioprotesi stampata in 3D. Questo pezzo di tessuto cresce all’interno della protesi e alla fine la riempie. Nel frattempo, il guscio stampato in 3D scompare completamente 18 mesi dopo. Finora i test sugli animali sono stati incoraggianti, ha dichiarato Julien Payen, cofondatore e amministratore delegato dell’azienda. I test clinici sulle donne dovrebbero iniziare nel 2022, con l’obiettivo di immettere il prodotto sul mercato nel 2025.

Secondo un report di McKinsey, che ha osservato come fra le aziende analizzate il 70% abbia una fondatrice donna rispetto al normale 20%, le categorie in cui il FemTech sta avendo un impatto sono in aumento e, in alcuni casi, iniziano a evolversi, a sovrapporsi e a ridefinirsi man mano che le aziende FemTech iniziano a crescere e a cercare nuovi modi per espandersi. Ad esempio, Maven ha iniziato con l’assistenza alla maternità per poi espandersi lungo tutto il ciclo della vita riproduttiva. Peppy, nata per offrire una soluzione alle organizzazioni per supportare meglio i propri dipendenti una volta portati a casa i loro nuovi bambini, ora affronta anche le sfide legate alla menopausa.

La FemTech presenta anche significative opportunità di partnership per gli operatori storici dei settori tradizionali. L’azienda leader nel settore della cosmesi L’Oréal, ad esempio, ha recentemente presentato una partnership con l’app di monitoraggio delle mestruazioni Clue per approfondire le conoscenze sul rapporto tra la salute della pelle e il ciclo mestruale.

Fra tante app straniere ne spunta anche una italiana, PinkUp Vamp dedicata alla menopausa. PinkUp Vamp supporta le donne utilizzando un sistema di rilevazione dei sintomi. Fra le molte luci del settore spunta però anche un’ombra. La sentenza della Corte Suprema americana che ha abolito il diritto costituzionale all’aborto, ora illegale in alcuni stati e punito con il carcere, pone molti interrogativi sul fronte della privacy. Queste app sempre più utilizzate negli Usa possiedono i dati relativi alle utenti sul ciclo ed eventuali gravidanze. Chi assicura che questi dati non saranno passati alle autorità? In Nebraska sembra sia già successo. Facebook ha fornito alla polizia i dati di una ragazza che è stata quindi incriminata per aborto.